Quella parola non è come un’altra

«Ci domandiamo – dichiara Paolo Virgilio Grillo, presidente dell’AIPD – se quei giornalisti che riflettono sull’opportunità o meno di sdoganare il termine “mongoloide” conoscano davvero i nostri figli e se si rendano conto che usare questa parola come sinonimo di “assolutamente incapace” non corrisponde assolutamente alla realtà». «Non capiscono – aggiunge – che quella non è una parola come un’altra e stanno anzi percorrendo un’incredibile crociata, volta a sdoganare luoghi comuni, con totale mancanza di rispetto nei confronti delle persone con disabilità e delle loro famiglie»

Simone Trezzani

Simone Trezzani, persona con sindrome di Down, lavora dal 2004 a Milano, alla reception di una multinazionale

«Le persone con sindrome di Down vanno a scuola, lavorano, si innamorano e si fidanzano, vanno a votare. Ci domandiamo se i giornalisti che in questi giorni stanno riflettendo sull’opportunità o meno di sdoganare il termine “mongoloide” conoscano davvero i nostri figli e se si rendano conto che usare questa parola come sinonimo di “assolutamente incapace” non corrisponda assolutamente alla realtà».
È con queste parole che Paolo Virgilio Grillo, presidente nazionale dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), ritorna sulla discussione in corso sull’uso della parola “mongoloide”, scatenata nei giorni scorsi dalle parole a dir poco censurabili pronunciate dal giornalista Marco Travaglio – poi scusatosi con lo stesso Presidente dell’AIPD – durante la trasmissione televisiva Otto e mezzo di La7 (se ne legga anche nel nostro giornale).
Nei giorni scorsi, infatti, diversi giornalisti, tra cui in prima pagina sul quotidiano «Libero» Melania Rizzoli, hanno rivendicato come diritto quello di potere utilizzare tale termine in modo offensivo, come sinonimo di totalmente incapace di comprendere, senza quindi capire che non si tratta di una parola come un’altra. «E con assai scarso rispetto delle persone con sindrome di Down che odiano essere chiamate con questo appellativo – continua Grillo -, oltreché con nessun tipo di conoscenza della trisomia 21 [altro nome della sindrome di Down, N.d.R.], chiamata “malattia” quando è una condizione genetica, e usando il termine “affetto”, che si riferisce appunto a patologie e non a condizioni come questa che rimangono tali per tutta la vita. Proprio dei giornalisti, quindi, che hanno il dovere di proteggere e non ledere le categorie più fragili, come da articolo 6 del loro Testo Unico Deontologico, stanno percorrendo un’incredibile crociata per sdoganare luoghi comuni, mancanza di rispetto e disprezzo nei confronti delle persone con disabilità. Questo ci ferisce e ci sconcerta».

Che per altro il problema di un corretto linguaggio fosse assai più profondo dello stesso episodio legato al giornalista Travaglio, come avevamo voluto fare intendere con il titolo di un nostro articolo (Bene le scuse di Travaglio, ma il problema del linguaggio è assai più ampio), ce lo aveva confermato nei giorni precedenti un ulteriore episodio, assai meno pubblicizzato, ma ugualmente grave.
Anche in quel caso era stato Paolo Virgilio Grillo a denunciare il fatto, scrivendo in questi termini a Federico Ferri, direttore responsabile dell’emittente Sky Sport: «Con vivo dispiacere abbiamo assistito domenica 17 settembre, nella diretta di Sky Sport al Gran Premio di Singapore, al commento di un vostro cronista, Davide Valsecchi. Il cronista, come lei ben sa, ha apostrofato con la parola “mongoloide” un pilota di Formula 1, con evidente intento dispregiativo. Ci stupiamo e addoloriamo che ancora oggi – dopo tanto lavoro fatto in questi anni per promuovere una corretta immagine delle persone con sindrome di Down – si sia costretti ad ascoltare commenti del genere, per di più da un professionista della comunicazione. Vorrei quindi sollecitare da parte sua, a nome di tutte le famiglie che hanno figli e fratelli con sindrome di Down, delle scuse ufficiali. Sarebbe un gesto significativo da parte vostra accompagnare queste accogliendo in studio una persona con sindrome di Down appassionata di sport come commentatore, offrendo così un messaggio positivo su questa realtà: vi stupirete di quanto gradevole e interessante possa essere questo tipo di esperienza».
Anche in quel caso, e assai rapidamente, erano arrivate le scuse del direttore di Sky Sport, che aveva risposto così al Presidente dell’AIPD: «Quanto accaduto non è accettabile». «Mi farebbe piacere incontrarla – aveva inoltre aggiunto Ferri – per offrirle la nostra disponibilità a dare visibilità alle attività della vostra Associazione, in àmbito sportivo e non solo». (M.R. e S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampaaipd@gmail.com (Marta Rovagna).

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