I chili di troppo vanno accettati, ma non possono essere un vanto

«L’obesità, come l’anoressia, sono cause di disabilità – scrive Antonio Giuseppe Malafarina, a proposito del recente film “The Whale”, che ha visto il protagonista Brendan Fraser vincere il Premio Oscar -, bisogna considerarle con oculatezza. No all’insulto, a quella leggera e dolorosa battutina sui chili di troppo e men che meno al “body shaming”, la discriminazione sull’aspetto fisico. Ma non va nemmeno esaltata una condizione di salute a rischio»

Brendan Fraser, Oscar 2023

L’attore Brendan Fraser, recente vincitore dell’Oscar per il film “The Whale”

Ero partito per scrivere dell’assegnazione di un Oscar a un film con un protagonista con disabilità nella vita reale, riferendomi a The Whale, che vede al centro della storia una persona obesa. Pensavo che l’attore fosse veramente in sovrappeso, invece si tratta di un attore che indossa un costume per apparire tale e si chiama Brendan Fraser.
Potrei parlare di mancanza di attori con disabilità sul set, ma risparmio l’argomento per un’altra conversazione. Mi concentro dunque sul cosiddetto body shaming, la discriminazione sull’aspetto fisico. Qualcuno si arrabbierà.

Il protagonista dell’Oscar non è una persona obesa e questo ha fatto discutere perché si sarebbe dovuto, potuto, scegliere un attore davvero in sovrappeso. La questione è annosa. Qui mi concentro sulle polemiche che ho letto in rete in merito alla lettura proposta del personaggio con i chili di troppo.
In una scena del film la persona si trova accanto a una carrozzina per potersi muovere meglio e sulle inquadrature della medesima e dell’ambiente circostante si sono concentrate le attenzioni dell’amica Sofia Righetti, che invito a leggere sulla sua pagina Facebook, a questo link.
Secondo Sofia, eccellente comunicatrice, le inquadrature sono fatte in maniera da portare chi guarda a prendere le distanze da quella situazione, creando quella che lei chiama “pornografia del dolore”.
Da ciò che ho inteso, la scelta di proporre come elemento dominante la carrozzina guida lo spettatore verso una versione emotivamente faziosa e fuorviante, mentre un’inquadratura neutra sarebbe stata più opportuna. Si attua così una sottile forma di abilismo, cioè di discriminazione verso quella persona.

Scrive Sofia: «Ci meritiamo una rappresentazione diversa, una rappresentazione vera e reale, fatta dalle persone che vivono in quei meravigliosi corpi e che usano i device per la mobilità per il loro reale scopo, come strumento di liberazione, non di paura ed oppressione».
Sono d’accordo, ma non possiamo sopprimere il diritto all’interpretazione di un artista, quali sono il regista e lo sceneggiatore. Vero è che loro andrebbero educati per trattare gli argomenti non in maniera banalmente neutrale o veritiera, bensì degna. Le narrazioni, cinematografiche e non, dovrebbero rispettare la dignità della persona in causa e di quelle che rappresenta. Facciamo un passo avanti.

Ecco il cuore di questa mia riflessione: il body shaming. Inquadrare male una persona con disabilità, ma anche chiunque, per mettere in evidenza la difformità delle sue sembianze rispetto alla cosiddetta norma ne offende la dignità. Equivale a sbeffeggiarla: body shaming, appunto.
La persona dev’essere trattata per quella che è, senza improperi, risatine e considerazioni impertinenti, più o meno celati. Ma non è body shaming l’esclusivo prendere in giro una persona più pesante o gracile delle altre. Lo è anche indugiare morbosamente sui suoi particolari diversificanti.
Bisogna però essere fieri della propria diversità senza cadere nella morbosità. D’accordo il body positivity, il piacere di accettarsi per quello che si è in controtendenza con il body shaming, ma, se si può essere fieri dei propri tatuaggi, lo stesso si può dire dei chili di troppo? O di quelli troppo di meno?
Si può vivere con i chili di troppo addosso con disinvoltura, parlo per esperienza: in gioventù ero arrivato a pesare 102 chili, per poi dimagrire fino a 78. Si possono sopportare le angherie degli altri, che comunque non sono ammesse e, anzi, vanno condannate, rieducate. Ma quei chili di troppo quanto fanno bene alla salute? Fanno lo stesso male dei chili di meno di tante modelle anoressiche per la cui salute ci battiamo, cercando di cambiare il cliché della modella ideale, ora troppo magra. Se quindi si può accettare l’obesità, perché cerchiamo di riparare all’anoressia?

Ecco, c’è un limite e sta nella salute. Qualche chilo di troppo sta bene, ma quando quei chili sono clinicamente troppi, dobbiamo fare attenzione a parlare di meravigliosi corpi e affini. Si tratta di corpi che compromettono la salute della persona. Non vanno derisi, ma neppure esaltati. Sono chili che vanno rimossi non per ragioni estetiche ma salutari. Come le sigarette dalla bocca dei fumatori.
L’obesità, come l’anoressia, sono cause di disabilità, ecco perché ne parlo qui. Bisogna considerarle con oculatezza. No all’insulto, a quella leggera e dolorosa battutina sui chili di troppo e men che meno al body shaming. Ma neppure all’esaltazione di una condizione di salute a rischio.

Direttore responsabile di «Superando.it». Il presente servizio è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “I chili di troppo si accettano ma non sono un vanto”) e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo