“Orgoglio disabile” e… scontri con i pali

«Rispetto l’“orgoglio disabile” e chi ritiene che “disabile è bello” – scrive Salvatore Nocera -, anche se ho una diversa visione della qualità della mia vita. Ormai da decenni, infatti, ho pienamente accettato la mia minorazione visiva e riesco a vivere benissimo con essa, anzi mi ha spronato ad impegnarmi per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica, sociale ed ecclesiale delle persone con disabilità. Confesso però che ogniqualvolta camminando da solo batto con le mani o con la fronte contro un paletto, non mi sento certo troppo orgoglioso di essere minorato della vista!»

Foto in bianco e nero di uomo che rifletteHo molto apprezzato il nuovo spazio fisso denominato Disfemminismo e altre storie avviato da «Superando.it», così come il primo testo di esso, dedicato al Disability Pride. La storia che Silvia Lisena ha cominciato a raccontare è veramente avvincente, compresa quella delle bandiere e della loro evoluzione, che ignoravo totalmente.
Ciò che invece mi lascia un po’ perplesso è apprendere che luglio è il mese dell’“orgoglio della disabilità”, una terminologia alla quale ovviamente è sottesa una corrente culturale, che deriva dagli Stati Uniti, laddove conoscevo invece la corrente molto forte dell’“orgoglio sordo”, diffusa da persone sorde che si impegnano a non sottoporsi ad alcun intervento chirurgico che potrebbe dare loro l’udito, perché appunto “orgogliosi” di essere sordi segnanti.

Per la mia esperienza di vita di ultraottantenne minorato visivo dall’età di cinque anni, non ho mai condiviso quella corrente americana. Ciò perché ritengo assurdo – ma posso naturalmente sbagliarmi – che chi, avendo una minorazione e possa migliorare il suo stato di vita, vi rinunci spontaneamente. Con tutto il rispetto mi sembra una posizione di tipo “masochistico”.
Sempre con molto rispetto, poi, essendo un cattolico come si dice praticante, non ho mai condiviso quegli operatori pastorali, catechisti e sacerdoti che, per darci “un contentino”, ci dicono che noi persone con disabilità siamo dei privilegiati, perché con le nostre sofferenze contribuiamo alla redenzione del mondo. Questa, a mio sommesso avviso, è una pastorale e una corrente teologica “alienante “, perché l’esempio di  Gesù ci insegna non a rassegnarci alla nostra vita con “un contentino”, ma ad impegnarci per inserirci sempre più nella società.

Durante una recente lezione di storia all’Auditorium di Roma, tenuta, mi sembra, dal professor Canfora, si sosteneva che Suor Teresa di Calcutta, nell’assistere i “paria moribondi”, consolasse solo psicologicamente i propri assistiti senza dare loro farmaci, perché avrebbe avuto la convinzione che essi, con le loro sofferenze, si santificassero.
Contesto questa interpretazione della vita di Santa Suor Teresa di Calcutta, ma se veramente fosse stata questa la sua visione del cristianesimo, non la condivido assolutamente. Ormai da decenni, infatti, ho pienamente accettato la mia minorazione visiva e riesco a vivere benissimo con essa, anzi mi ha spronato ad impegnarmi per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica, sociale ed ecclesiale delle persone con disabilità. Confesso però che ogniqualvolta camminando da solo batto con le mani o con la fronte contro un paletto, sbucciandomi regolarmente la pelle, non mi sento certo troppo orgoglioso di essere minorato della vista!

Rispetto comunque chi ritiene che “disabile è bello”, anche se ho una diversa visione della qualità della mia vita e sono altresì certo che queste mie parole possono incontrare il pieno disappunto dei sostenitori dell’“orgoglio disabile”. Ma ognuno ha la propria visione della propria vita et de gustibus non est disputandum, come recita un vecchio adagio in latino maccheronico.

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo