Siti e app mobile: le dichiarazioni di accessibilità dei soggetti privati

«Dal 5 novembre 2022 – scrive Roberto Scano – le aziende italiane con fatturato medio superiore a 500 milioni di euro di media nell’ultimo triennio sono obbligate – tra l’altro – a pubblicare un documento relativo all’accessibilità su ognuno dei propri siti web e app mobile rivolti al pubblico. Alla domanda, quindi, “Dichiarazioni di accessibilità dei soggetti privati: a che punto siamo?” si è cercato di rispondere con un evento online organizzato da Ergoproject. Vediamone gli esiti»

Accessibilità dei sitiAlla domanda “Dichiarazioni di accessibilità dei soggetti privati: a che punto siamo?” si è cercato di rispondere con un evento online svoltosi il 1° febbraio scorso, organizzato da Ergoproject.
Dal 5 novembre 2022, è bene ricordarlo, le aziende italiane con fatturato medio superiore a 500 milioni di euro di media nell’ultimo triennio, sono obbligate – tra l’altro – a pubblicare un documento relativo all’accessibilità su ognuno dei propri siti web e app mobile rivolti al pubblico. Si tratta di uno degli adempimenti, quello che di fatto espone la situazione e soprattutto la comprensione da parte delle aziende dell’obbligo di accessibilità, in quanto contiene:
° Un riepilogo delle problematiche di accessibilità presenti nel sito o nell’app mobile, derivante quindi da un’analisi (assessment): ciò non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza, in quanto è necessario garantire un costante miglioramento dell’accessibilità dei servizi.
° Il meccanismo di feedback, ossia una modalità di contatto per segnalare problematiche di accessibilità.
Per i privati, si deve seguire il modello predisposto dall’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) (Allegato A), da aggiornare almeno una volta ogni anno, entro il 23 settembre. Esso deve contenere, tra l’altro, la descrizione del meccanismo di feedback, che dev’essere resa disponibile in PDF o HTML attraverso il footer del sito di riferimento.
Dopo più di un anno dall’entrata in vigore dell’obbligo, siamo andati dunque a verificare, in collaborazione con Partners 4 Innovation, quanti hanno pubblicato e, soprattutto, cosa hanno dichiarato (ad esempio il livello di conformità). Abbiamo analizzato 292 dichiarazioni di accessibilità, ottenendo una fotografia di alcuni vizi e virtù di quattro settori che conosciamo da vicino: grande distribuzione organizzata (spesso abbreviata con GDO), Banking, Utilities ed e-commerce. Va posta l’attenzione che si parla di dichiarazioni fatte dalle aziende: nessuna analisi di conformità è stata svolta per accertarne la veridicità, in quanto si tratta di un compito della citata agenzia di vigilanza AgID.

I risultati
Il risultato più eclatante è che sul 32% dei sistemi analizzati, non è stata trovata alcuna dichiarazione di accessibilità. Ciò significa che gli uffici legali/compliance dei soggetti destinatari della normativa, e stiamo parlando di aziende con fatturati notevoli, non hanno ancora cognizione di un obbligo di legge che esiste dal 5 novembre 2022. Ciò potrebbe anche far pensare ad un disinteresse per la tematica, con rischi sanzionatori (i soggetti privati inadempienti alla conformità alle regole di accessibilità che non risolvono le problematiche a seguito di richiami formali rischiano una sanzione amministrativa pari al 5% del fatturato).

Formato di pubblicazione della dichiarazione
Il formato scelto per pubblicare la dichiarazione si divide quasi equamente tra formato HTML (pagina web) e formato PDF (documento scaricabile). Premesso che si sconsiglia l’uso del documento PDF, che richiede la disponibilità di un lettore di documenti e una dimestichezza nella loro gestione, a prescindere dal formato, l’importante è che la dichiarazione sia accessibile, mentre diverse fra quelle analizzate non lo erano.
Il 29% delle dichiarazioni di accessibilità in formato PDF hanno utilizzato la carta intestata AgID disponibile nell’esempio di modello pubblicato con le linee guida AgID. Ciò comporta un errore in quanto fa presumere che la dichiarazione sia avallata dall’organismo di vigilanza.
All’interno della dichiarazione è percepibile anche la modalità con cui è stata fatta l’analisi. Nella maggior parte dei casi essa è stata affidata a soggetti esterni, segno della necessità di formare risorse competenti in materia di accessibilità all’interno delle aziende. Il 18%, invece, ha svolto internamente le verifiche di accessibilità, il che fa ben sperare.

Livello di conformità
Un punto importante è comprendere anche l’autodichiarazione della conformità. C’è molta confusione sul valore della conformità dichiarata. Tecnicamente si è conformi se nessun criterio di conformità è violato, si è non conformi se il 50% + 1 dei criteri è violato, si è parzialmente conformi in tutti gli altri casi.
Di fatto è un dato che ha un’importanza relativa e che comunque, a prescindere da quello che viene dichiarato, non mette al riparo dalle eventuali segnalazioni e/o sanzioni. Dall’analisi effettuata, solo l’1% si è dichiarato conforme (e già visivamente fa percepire di non esserlo), mentre l’11% si dichiara non conforme. Particolare invece la presenza di un 5% di dichiarazioni in cui non viene indicato il livello di conformità.

Utilizzo di termini troppo tecnici
Nella descrizione dei problemi di accessibilità spesso vengono usati termini tecnici: va ricordato che la dichiarazione è per gli utenti, non per i tecnici e deve quindi “parlare” in modo chiaro. Gran parte delle dichiarazioni usa un linguaggio generico ma comprensibile.

Onere sproporzionato e alternative accessibili
La normativa consente il ricorso all’onere sproporzionato e alle alternative accessibili. Va ricordato che relativamente all’onere sproporzionato cui hanno fatto ricorso il 7% dei servizi analizzati, ai sensi del comma 2 dell’articolo 3-ter della Legge 4/04 (“Legge Stanca”) «non possono costituire, di per sé, un onere sproporzionato i tempi occorrenti per sviluppare i siti web ed applicazioni mobili ovvero la necessità di acquisire le informazioni occorrenti per garantire il rispetto degli obblighi previsti dalla presente legge e dalle linee guida». Il 12% invece ha definito delle alternative accessibili, ossia soluzioni temporaneamente a disposizione degli utenti con disabilità sino alla risoluzione strutturale delle problematiche.

Meccanismo di feedback
Il contenuto più importante all’interno della dichiarazione di accessibilità è dato dal link e dalla descrizione del meccanismo di feedback, ossia la modalità (che dev’essere accessibile) per segnalare non conformità che creano problemi ad utenti con disabilità. Nella maggior parte dei casi le aziende hanno deciso di assegnare un indirizzo e-mail e/o un modulo di contatto, mentre nel 5% dei casi non è indicato alcun metodo di contatto, come se non ci fosse volontà delle aziende stesse di ricevere suggerimenti per il miglioramento delle soluzioni digitali.

Accessibility overlay
Il 22% dei siti analizzati utilizza un Accessibility Overlay, inserendo cioè porzioni di codice correttivo “esterno” che non garantisce la conformità e spesso crea ulteriori problemi di accessibilità, come segnalato dalla Commissione Europea, dall’AgID, dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità e dallo IAAP (International Association of Accessibility Professionals). L’uso di tali strumenti solitamente è una scelta “economica” per cercare di migliorare i siti web, che in altri Paesi provoca l’attivazione di persone con disabilità e di Associazioni in loro rappresentanza per contenziosi sulla discriminazione basandosi su un fatto: l’azienda è a conoscenza dei problemi di accessibilità, ma anziché risolverli mette una sorta di “cerotto”.

Usabilità
Infine, i test di usabilità: non sono obbligatori per legge ma comunque il 31% li ha svolti. Quando si parla di test di usabilità non è ben chiaro se si intendono test con tutte le tipologie di utenti e/o con utenti con disabilità: il consiglio è di coinvolgere le diverse tipologie di utenti, per garantire non solo un’accessibilità “tecnica” ma anche un’accessibilità d’uso.

“Il digitale accessibile”
La nostra rubrica Il digitale accessibile è firmata da Roberto Scano, che da oltre vent’anni si occupa di accessibilità informatica, ossia dal 2002, anno in cui entrò nel W3C (World Wide Web Consortium), come rappresentante dell’IWA (International Web Association), partecipando allo sviluppo delle WCAG 2.0 (Web Content Accessibility Guideline), le Linee Guida per l’accessibilità dei siti web. Nel corso degli anni si è occupato del tema dell’accessibilità anche in àmbito normativo, supportando la nascita della cosiddetta “Legge Stanca” (Legge 4/04: “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici”), in materia di accessibilità ICT (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione) e avviando iniziative a livello nazionale, per diffondere il tema dell’accessibilità “by design”.
Attualmente presiede l’Associazione dei Professionisti Web IWA e le Commissioni UNI dedicate alle professionalità digitali e all’accessibilità digitale. Svolge inoltre l’attività di consulente per aziende e Pubblica Amministrazione.

Nella colonnina qui a fianco (Articoli correlati), i contributi che abbiamo finora pubblicato, nell’àmbito della rubrica Il digitale accessibile.

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo