Proviamo a partire dal buono che c’è

«Facciamo molta attenzione – scrive Emanuela Buffa, prendendo spunto da un articolo di Gianluca Nicoletti, pubblicato dalla “Stampa” e dedicato alla maggiore età raggiunta dal figlio con autismo – a non perdere, pensando solo alla scarsità delle risorse, tutti i servizi e le strutture avviate in questi anni, e soprattutto a non delegare ad altri ciò che per legge spetta alle ASL e ai Comuni. Serve informarsi sulle esperienze positive sparse per l’Italia, studiarle, analizzarle e, se ne vale la pena, chiedere agli Enti Locali del proprio territorio di adottarle»

Padre e madre insieme a figlia con disabilitàSempre più spesso appaiono sugli organi di stampa notizie allarmistiche circa la mancanza di servizi e struttura di accoglienza per le persone con disabilità al compimento dei 18 anni o quando vengono a mancare i parenti (il cosiddetto “Dopo di Noi”).
Alcuni giorni fa ho letto sulle pagine della «Stampa» lo sfogo del giornalista e scrittore Gianluca Nicoletti, papà di un ragazzo autistico [“Compie oggi 18 anni ed è autistico, la vita nuova di mio figlio Tommy”, in «La Stampa.it», 26 febbraio 2016, N.d.R.] e devo dire che non ritrovo nel suo articolo la realtà che sto vivendo anch’io come mamma di un ragazzo con disabilità intellettiva e come coordinatrice di un’Associazione di genitori che si occupa di persone con disabilità intellettiva.

Io non so dove Gianluca Nicoletti viva e mi dispiace molto se la situazione è quella da lui descritta, perché significa che le Istituzioni locali e le Associazioni di tutela delle persone disabili che sono sul suo territorio non hanno fatto negli anni un buon lavoro.
Da sempre a Torino vi sono Associazioni che si occupano proprio di stimolare – talvolta anche in modo duro – le Istituzioni affinché ottemperino alle leggi nazionali e istituiscano tutti i servizi di cui i cittadini disabili, soprattutto quelli più gravi, hanno bisogno. E così sono nate le comunità alloggio per le persone più gravi, i gruppi appartamento e le convivenze guidate, i centri diurni per chi ha una disabilità grave, i centri di attività diurna per chi ha una limitata autonomia, senza contare i corsi prelavorativi e di formazione al lavoro per chi ha una buona autonomia e capacità e potrebbe andare un giorno a lavorare. Uno di questi corsi è stato pensato proprio per ragazzi autistici e qualcuno di loro è stato anche avviato a tirocinio in azienda e forse verrà assunto.

Tutto questo non sarebbe stato possibile se non ci fosse stata una forte pressione dal basso, da parte di Associazioni di genitori che invece di piangersi addosso, come fa il papà in questione, si sono rimboccati le maniche e tutti insieme sono riusciti ad ottenere quei servizi che permettono ai loro figli e a loro stessi di vivere una vita più serena adesso e dopo, quando loro non ci saranno più.
Quei centri che Nicoletti descrive nel suo articolo come se fossero dei “lager”, a Torino io non li ho mai visti: da anni  faccio parte di una commissione che ha avuto la delega dall’Amministrazione Comunale di controllare tutte le strutture in cui sono inseriti utenti del Comune di Torino e devo dire che non sono assolutamente dei «tristissimi posti», come li chiama lui: sono dei luoghi aperti, in cui si fanno tante attività a misura dei nostri figli, in cui si esce per andare in piscina a nuotare, al maneggio a fare ippoterapia, al cinema, a vedere un museo o a vendere nei mercatini rionali i prodotti della terra da loro coltivati, a ballare e a far festa tutte le volte che se ne presenta l’occasione. E quando rileviamo qualcosa che non ci piace, subito la denunciamo all’Assessorato competente e insieme si cercano delle soluzioni.

È vero che tutto può essere migliorato e noi Associazioni continuiamo a lavorare con l’Ente Pubblico per trovare soluzioni e progetti che vadano nella direzione di una sempre maggiore integrazione dei nostri ragazzi nel contesto sociale. Ma allo stesso tempo facciamo molta attenzione affinché tutto quello che in questi anni si è conquistato non vada perduto, con il pretesto della scarsità di risorse e soprattutto che non si deleghi ad altri ciò che per legge sono le ASL e i Comuni a dover fare.
Mi riferisco al tentativo – purtroppo avallato da una recente Legge [la Legge sul cosiddetto “Dopo di Noi”, approvata recentemente alla Camera e ora passata al Senato, N.d.R.], di dare soldi pubblici ai privati affinché facciano strutture, magari bellissime, ma a cui potranno accedere solo i figli di ricchissime famiglie e soprattutto potranno sfuggire a qualsiasi controllo: la maggior parte degli abusi su persone inermi che abbiamo letto in queste settimane è avvenuta proprio in strutture gestite da privati, che nessuno probabilmente si era mai sognato di andare a controllare.

Invece di gettare indiscriminatamente fango su tutto e su tutti, inviterei Nicoletti ad informarsi sulle esperienze positive che ci sono sparse per l’Italia, a studiarle e analizzarle e se ne vale la pena le importi anche nel suo territorio, chiedendo agli Enti Locali di farle proprie. Abbandoni i pregiudizi e i preconcetti che affollano la sua mente e per amore di Tommy cerchi di essere più positivo e utilizzi la sua rabbia non per distruggere tutto, ma per costruire un futuro sereno, partendo dalle leggi che ci sono e che devono solo essere conosciute e fatte applicare, per garantire quei diritti e quella qualità di vita che ogni genitore desidera e deve pretendere per il proprio figlio.

Coordinatrice del GGL (Gruppo Genitori per il Diritto al Lavoro delle Persone con Handicap Intellettivo) di Torino (emanuela.buffa@tiscali.it).

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