Un “semaforo” per la diversità in TV

«Special sui “grandi obesi”, sulle persone di piccola statura, grandi investimenti per seguire le Paralimpiadi o film strappalacrime: tutto ciò sottolinea – secondo Rosa Mauro – che, nel bene o nel male, la TV vuole vederci. Ma ci riesce o la sua è solo una illusione? E, soprattutto, questa visibilità è adeguata, e comunica il giusto messaggio? Per capire quale possa considerarsi buona comunicazione, quale contenga elementi sia buoni che cattivi e quale invece risulti controproducente, prendiamo in prestito le luci verde, gialla e rossa del semaforo»

Semaforo con faccina rossa, gialla e verdeÈ innegabile che ci sia, nella comunicazione di massa, una certa “voglia di diversità”. Film, programmi speciali, eventi, sembrano sottolineare, forse per la prima volta nella storia, un desiderio di conoscere quelli che potrebbero essere definiti come “mondi altri” dalla cosiddetta “normalità”.
Per non perderci, però, nel mare magnum dei media, cominciamo da uno dei più “recenti”, per poi parlare anche degli altri: la TV.
Special sui “grandi obesi”, sulle persone di piccola statura, grandi investimenti per seguire le Paralimpiadi o film strappalacrime sottolineano che, nel bene o nel male, questo media vuole vederci. Ma ci riesce o la sua è solo una illusione? E, soprattutto, questa visibilità è adeguata, e comunica il giusto messaggio da parte di questi “mondi altri”?

Cominciamo con un bel distinguo: non è vero che «bene o male purché se ne parli» sia un detto sempre giusto! A tale scopo facciamo un piccolo gioco, almeno in questo articolo iniziale: prendiamo in prestito le tre luci dei semafori e partendo da quella verde, vediamo cosa – a parere di chi scrive – può considerarsi buona comunicazione, quale invece può contenere elementi buoni o cattivi, quale potrebbe risultare controproducente. Pronti a giocare? Via!

Luce verde: sicuramente buona comunicazione sono quei docu-reality in cui la spiegazione dell’essere differenti è lasciata all’individuo stesso. Penso ad esempio a Hotel 6 Stelle*, al documentario di Silvio Soldini**, e a tutte quelle iniziative – ahimè, quasi sempre di élite -, in cui non si parte da un pregiudizio e si esalta la vita che si costruisce sull’individuo e sulle sue peculiarità, siano esse fisiche, psicologiche o di altro tipo.
Inserisco in questa categoria anche alcuni film – pochi a dire la verità -, che partono dall’idea, corretta, che la storia la facciano gli individui e non le fantomatiche categorie cui essi appartengono.

Luce gialla: i concorsi dedicati, gli artisti che comunicano la propria disabilità attraverso spettacoli o interviste, gli eventi di raccolte fondi, le Paralimpiadi. Tutto questo, per me, è “a luce gialla”.
Quando un concorso specifica alcune caratteristiche di un artista, per esempio che è cieco o con autismo, ne vanifica infatti la caratteristica universale.
Lo stesso problema suscitano gli artisti che vengono intervistati solo in quanto espressione di un certo disagio, di una certa diversità. Una persona in sedia a rotelle o con le stampelle esprime di certo quel tipo di fisicità, ma dovrebbe esserle possibile mettere in scena altro, oltre alla sua vita.
Allo stesso modo, sia gli atleti sia gli intervistatori alle Paralimpiadi dovrebbero fare attenzione a considerare lo sport come “unica via da percorrere”. Oltre che sbagliato, rischia di vanificare il talento dell’atleta che si ha davanti.

Luce rossa, infine, alla cosiddetta “TV del dolore”, agli spot che strizzano gli occhi alla pietà, ai racconti che hanno come oggetto un “diverso” che non diventa mai soggetto.
Spiace poi dirlo o anche solo pensarlo, ma boccio anche quegli Enti e quelle Fondazioni che scelgono la facile strada dell’identificazione con il “normale”, trasformando il “diverso” in oggetto di dolore o di frustrazione, incapace di dare oltre che di ricevere.
Vi sono casi in cui chi sta vicino a una persona diversa si sente stanco e solo, e il suo desiderio è soltanto di sfogarsi, e di mostrare la propria sofferenza. Ma se questo deve esitare in una mancanza di rispetto per la privacy del soggetto di cui si parla, se colui che non può parlare e “difendersi” dagli occhi altrui viene esposto, nudo, ai nostri occhi irrispettosi, allora si dovrebbe dire no.
Approfondiremo tutti questi no, ma per il momento li mettiamo come paletti invalicabili, almeno per quanto mi riguarda.

E voi, a cosa dareste luce rossa, gialla o verde? Aspetto le vostre classifiche e al prossimo articolo!

*“Hotel 6 Stelle” è la fortunata docufiction trasmessa nel 2014 da Raitre e realizzata in stretta collaborazione con l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down), che ha visto per protagonisti sei giovani con sindrome di Down, impegnati a dimostrare le loro grandi potenzialità nel lavoro.
**Il riferimento è a “Per altri occhi”, docufilm voluto da Silvio Soldini e Giorgio Garini e diretto nel 2013 dallo stesso Soldini. Al centro vi è la storia di dieci “antieroi ciechi”.

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