La libertà sessuale delle persone con disabilità: quattro documentari su Rai3

In queste settimane Rai3 sta trasmettendo la serie intitolata “Il corpo dell’amore”, affrontando un argomento estremamente complesso e delicato, come la libertà sessuale delle persone con disabilità motoria o cognitiva. «Il primo documentario andato in onda – scrive Simonetta Morelli – è una celebrazione dell’intelligenza ricercata della protagonista Patrizia e della sua profonda libertà. E di tutte quelle donne che stanno compiendo la sua stessa fatica, responsabilizzando figli con disabilità intellettiva, affinché la loro salvezza dipenda da quanta consapevolezza avranno della loro libertà»

Patrizia e Giorgio, protagonisti del documentario "Patrizia. L'ombra della madre", andato in onda il 31 maggio 2019 sui Rai3 (©foto di Antonio Demma e Valentina Summa)

Patrizia e Giorgio, protagonisti del documentario “Patrizia. L’ombra della madre”, andato in onda il 31 maggio sui Rai3 (©foto di Antonio Demma e Valentina Summa)

Dopo Inviati speciali, la trasmissione andata in onda nel mese di gennaio dello scorso anno, ispirandosi al blog InVisibili del «Corriere della Sera.it», premiata da grandi ascolti e dal gradimento del pubblico, Rai3 ha scelto di rappresentare ancora la disabilità, affrontando il più complesso e delicato degli argomenti: la libertà sessuale delle persone con disabilità motoria o cognitiva.
E lo sta facendo benissimo, con Il corpo dell’amore, una serie ideata e prodotta da Deriva Film in collaborazione con la RAI (delegato di produzione Barbara Paolucci), per la regia di Pietro Balla e Monica Repetta.
Si tratta di quattro documentari di circa 50 minuti ciascuno, in onda il venerdì, in cui il tema della sessualità è trattato senza meraviglia, sensazionalismo, rabbia o morbosità. Piuttosto vi è una narrazione delicata, ma potente del contesto quotidiano in cui ciascuno dei protagonisti vive e agisce.
«Il nostro è un lavoro fondamentalmente d’ascolto», spiega Monica Repetta. Un lavoro di grande generosità e rispetto, che ha permesso una rappresentazione delicata, ma incisiva, a tratti ironica, struggente e poetica, della dimensione esistenziale dei protagonisti nel momento in cui l’aspetto affettivo e sessuale matura e segna la vita volgendola altrove.

La prima puntata, Patrizia. L’ombra della madre è andata in onda il 31 maggio ed è disponibile su Rai Play, così come la seconda, intitolata Giuseppe. Todos Santos. Il 14 e il 21 giugno seguiranno gli altri due documentari, sempre in seconda serata (23,10 circa) su Rai3, vale a dire Valentina. La settimana enigmistica e Anna. La prima volta.

Giuseppe è un attivista disabile e omosessuale di 24 anni. È napoletano, ma vive a Bologna da sei anni. Torna a Napoli in occasione del Gay Pride e incontra Andrea, fotografo trentaseienne costretto a rientrare in Italia dall’Ungheria a seguito delle minacce di morte ricevute come attivista LGBT [Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender, N.d.R.].
Andrea è a capo di un progetto di “decostruzione del maschio”, per abbattere lo stereotipo del maschio forte, dall’aspetto virile. L’incontro porterà Giuseppe e le sue imperfezioni a un percorso di accettazione di sé; e forse a una storia d’amore.

Valentina è una giornalista e comunicatrice trentaseienne, nutrita da un senso profondo della libertà e da una irreprimibile forza che la spinge sempre in avanti; incontrerà Carlo in una settimana speciale. La sua fisicità, caratterizzata dalla displasia diastrofica che ha impedito agli arti di crescere, non è un ostacolo alla sua disinibita sensualità, coltivata e vissuta con grande gusto del gioco e del racconto di sé.

Anna ci conduce nel mondo degli “assistenti sessuali”, figure che esistono in alcuni Paesi europei ma non in Italia, dove giace in Senato un Disegno di Legge controverso nella forma e nei contenuti, che ne vorrebbe l’istituzione a carico dello Stato. Anna, 42 anni, acquisirà una formazione privata ad hoc, a Bologna, e incontrerà Matteo, 39 anni, che è tetraplegico. Con lui svolgerà il suo tirocinio di otto mesi riconsiderando la propria forza di seduzione.

Ma è la storia di Patrizia e del figlio Giorgio quella in cui è più facile riconoscersi.
La giacca arancione di Patrizia si porta dentro un corpo ancora energico animato da un piacere di stare al mondo deciso e lento, tutto da assaporare. Ogni volta che sin dall’infanzia la vita ha mostrato la sua durezza, Patrizia è stata capace di riconquistare larghe fette di dignità.
Così la descrive la voce narrante di Enrica Bonaccorti: «[…] Fortemente attratta dal vagabondare e dal respirare la propria solitudine, – chiosa sulle belle immagini – vive questa quotidianità come un mezzo per partecipare alla vita del prossimo, perduto e stretto in una solitudine uguale alla sua».
Oggi Patrizia ha 60 anni ed è vedova da quindici. Da quando è mancato il marito, ha lasciato il lavoro per seguire Giorgio, il più giovane dei suoi tre figli, ma si è riservata un piccolo spazio settimanale per servire i poveri, collaborando alla preparazione della cena per i senza tetto.
Ogni giorno accompagna Giorgio a svolgerle le sue attività. Percorrendo in auto parte del tragitto che li conduce da Volla a Napoli, Giorgio ha notato delle ragazze sul ciglio della strada. È da un po’ che se ne sente attratto, mentre la madre appare sorda alle sue istanze. Non aspettano l’autobus, gli ha spiegato, ma vendono il loro amore agli uomini, che le pagano proprio per questo: una rivelazione per Giorgio, che ha 32 anni, la sindrome di Williams e un bisogno di relazioni profonde che gemma, come tutte le primavere, sulla sua condizione di disabilità. È una rivelazione anche per Patrizia: il tempo è scaduto, la maturità di Giorgio esige risposte, sta prendendo il sopravvento su una fanciullezza che lei ha perpetuato per dovere di protezione.
L’evoluzione di Giorgio è contemporanea e contestuale a quella della madre la cui stanchezza, anche fisica, denuncia il bisogno di essere collocata a latere dell’esistenza del figlio, liberandolo; e liberandosi da una simbiosi che lui non chiede, e che lei, con rara intelligenza, non vuole. Giorgio ha bisogno di rapporti altri, personali e spessi, di amici con cui condividere lo stretto quotidiano. E di sentirsi fidanzato con qualcuna; e di abbracci, di carezze diverse da quelle della mamma.

La giacca arancione di Patrizia è il fil rouge che ci conduce tra l’intimità dei vicoli e il centro convulso della città; che ci fa conoscere iniziative sociali di altissimo livello artistico e culturale nelle quali si compie il miracolo dell’inclusione, senza ricorrere alle istruzioni per l’uso: la ScalzaBanda, banda musicale del quartiere di Montesanto, dove Giorgio suona le percussioni e l’organetto in perfetta armonia con gli altri musicisti; il Conservatorio Solidale, un progetto di Forgat ONLUS, realizzato dall’Associazione Il Canto di Virgilio e ospitato al Centro Culturale Domus Ars, che permette di accedere gratuitamente a percorsi musicali di livello, recuperando tra l’altro molta musica della tradizione antica napoletana; il laboratorio di alta formazione teatrale La scuola elementare del teatro, diretto dal regista Davide Iodice presso l’Asilo Filangieri, che naturalmente include allievi con disabilità, pur essendo una realtà di altissimo valore artistico.
Perché l’arte, per sua natura, non esclude. Mai. A maggior ragione quando il talento non bada all’integrità del corpo e della mente in cui abita. Un musicista del livello di Giorgio può suonare persino un telo di plastica messo a protezione dei lavori di Santa Fede Liberata e ricavarne una performance sublime che incanta e sorprende la stessa madre.

La giacca arancione di Patrizia ci guida tra i suoi pensieri squisiti, riflesso di una napoletanità – come sottolinea la regista Repetto – «non ideologica, ma sempre fortemente politica» e di una cultura “faticata”, strappata alle proprie origini di sottoproletariato per un innato senso del bello, per curiosità, desiderio e una cognizione profonda della propria dignità. Ed eccola a tavola con amici e parenti, quando insieme al cibo condivide il dubbio se debba fare ricorso a una prostituta: «No, non mi mortifica, ma offende il mio pensiero. Che è peggio! Perché in una società che non funziona, chi ricorre a questo mestiere è perché è fallita la società. Ed io sono ancora più fallita perché ci devo ricorrere!».
E, soprattutto, la giacca arancione di Patrizia ci porta a casa della prostituta. In una scena luminosa e struggente, una donna attrezzata e risolta come Patrizia rivela a una ragazza di colore, fragilissima per una somma di condizioni dolorose e ingiuste, il suo punto critico: è lì per un contratto, ma la vorrebbe proteggere dall’ingiustizia sociale del suo mestiere, ancora di più quando la ragazza dichiara di essere disponibile a conoscere Giorgio: lei non è schizzinosa, come tante sue colleghe, di fronte a un cliente disabile. Ciò disarma Patrizia e la sollecita a coprire la ragazza dello stesso affetto impotente che nutre per il figlio. «…Sempe ’a stessa storia, è sempe ’na femmena che ci ha da rimettere…».

Ma il futuro di Giorgio non può risolversi con una donna a pagamento, che al massimo può rispondere a una sola esigenza. Se quel desiderio di una donna rivela alla madre che è ora per Giorgio di compiere un passaggio esistenziale, è lì che bisogna intervenire. Così raggiungono una comunità di giovani adulti, lontano dalla città, dove potrebbe iniziare il futuro di Giorgio. Che ne è entusiasta perché è con i suoi pari, con giovani come lui, persone che non lo accudiscono, ma con cui interagire naturalmente.
Tra loro parlano anche d’amore, alcuni di fidanzamento. Ma per abitare lì, Giorgio dovrà rinunciare alla musica, alla città, alle sue abitudini. Su questo dovrà riflettere per compiere il primo atto da adulto consapevole: scegliere. Il finale resta aperto e ci permette tante riflessioni. O solo l’emozione di una storia così ben raccontata che ce la si ritrova in tasca come una piccola ricchezza da spendere, inaspettatamente.
Nel rispetto di ogni sfumatura della personalità di una città, dei suoi protagonisti, dei suoi luoghi, delle sue storie, il documentario è una celebrazione dell’intelligenza ricercata di questa donna e della sua profonda libertà. E di tutte quelle donne che stanno compiendo la stessa fatica di Patrizia, responsabilizzando figli con disabilità intellettiva, affinché la loro salvezza dipenda da quanta consapevolezza avranno della loro libertà. E mentre la camera gira in un vortice dolce che rievoca con le voci dei protagonisti i passaggi attraverso i quali si è giunti fin qui, Nina Simone canta la libertà.

Il presente approfondimento è già apparso in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Patrizia e l’ora delle scelte: lo sguardo illuminato di Rai3 su una madre senza paura”. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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