Il “Dopo di Noi” si costruisce ascoltando i bisogni delle persone

Durante la recente tavola rotonda di Roma, intitolata “Tornando a casa. La persona disabile di fronte al futuro”, si è parlato di come sia necessario migliorare la Legge 112/16, meglio nota come “Legge sul Dopo di Noi” o “sul Durante e Dopo di Noi”. «Ma il “Dopo di Noi” – scrive Zoe Rondini – si può costruire solo ascoltando i bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Serve dunque maggiore collaborazione tra i soggetti interessati e i servizi erogati, per garantire alle persone con disabilità una prospettiva di vita piena e soddisfacente, anche in assenza dei familiari»

Ombre davanti al sole di ragazzo in carrozzina e di adulto non disabileDurante la tavola rotonda intitolata Tornando a casa. La persona disabile di fronte al futuro, tenutasi qualche settimana fa a Roma [se ne legga la nostra ampia presentazione, N.d.R.] e promossa dalle Associazioni Oltre Lo Sguardo e Hermes, si è parlato di come sia necessario migliorare la Legge 112/16 [“Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare”, meglio nota come “Legge sul Dopo di Noi” o “sul Durante e Dopo di Noi”, N.d.R.].
Il “Dopo di Noi”, infatti, si costruisce ascoltando i bisogni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Serve dunque maggiore collaborazione tra i soggetti interessati e i servizi erogati, per garantire una prospettiva di vita piena e soddisfacente, per le persone con disabilità, anche in assenza dei familiari.

Nel corso dell’incontro, Francesca Romana Lupoi, avvocato, ha spiegato come tale normativa, possa e debba essere migliorata: «Essa – ha dichiarato – è stata voluta per combattere il dato allarmante delle persone che, rimaste sole, finiscono in istituti: si tratta infatti dell’80% di loro. Bisogna porre la persona con disabilità al centro, per un graduale e individuale progetto di vita e di autonomia studiato appositamente sulla persona. Va innanzitutto rispettato il diritto, sancito dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, nella quale l’articolo 19 riguarda la vita indipendente e l’inclusione nella comunità, nonché la libertà di scegliere dove e come vivere».
«Il cohousing [“residenza condivisa”, N.d.R.] può essere una soluzione valida per i bisogni dei singoli – ha aggiunto Lupoi – ed è gestibile in termini economici. Sono previsti infatti degli sgravi fiscali, fondi pubblici e la figura dell’amministratore di sostegno».
Il problema, tuttavia,  rimane che gli aiuti pubblici nazionali non sono adeguati al censimento del bisogno.

«Il diritto allo studio, alla formazione, al lavoro, alla salute – ha spiegato Fausto Giancaterina, già dirigente dell’Unità Operativa Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale – nonché l’affettività, la socialità, il diritto all’abitare e il diritto all’inclusione, devono essere garantiti dai servizi territoriali. La proposta, quindi, è una maggiore collaborazione tra persone, associazioni, servizi e istituzioni, per un buon lavoro di squadra. C’è bisogno di un percorso unitario che vorremmo portare all’attenzione della Regione Lazio, per mettere ordine e coordinare i vari attori previsti dalla legge sul “Dopo di Noi».
«Per promuovere la Legge in oggetto – ha proseguito Giancaterina – è necessaria una normativa unitaria che deve essere più comprensibile e applicabile dalle Istituzioni locali. Lo scopo è migliorare la presa in carico della persona con disabilità, che deve essere totale e organizzata dalla nascita in poi. Ciò detto, questa è l’unica strada durevole e concreta per una reale esigibilità dei diritti».

L’attenzione si è spostata poi sull’importante punto di vista del diritto alla vita adulta delle persone con disabilità. A spiegarlo è stato Dino Barlaam, direttore dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e vicepresidente vicario della FISH Lazio, che ha sottolineato come «parlare della vita adulta faccia uscire dall’ottica della continua emergenza. Il tener conto, infatti, delle fragilità individuali e quindi realizzare delle case protette, è in primo luogo un cambiamento culturale, che in quanto tale va costruito nel tempo. È importante intervenire il prima possibile: non basta porsi il problema nella fase in cui i genitori cominciano a fare fatica».
«Il punto focale – secondo Barlam – è come consideriamo la vita di alcune persone e in tal senso le risposte sono diverse per ogni adulto. La Legge 112/16 vuole affrontare un tema molto vasto: come devono vivere le persone più fragili in contesti protetti; si tratta di un quesito importante che richiede uno sforzo di risorse. C’è poi da considerare che il cohousing in questi nuovi contesti va regolamentato con una normativa aggiornata e chiara. Inoltre, per un nucleo di persone con disabilità, a differenza di altri soggetti fragili, la gestione della casa va affidata a un terzo e quindi occorrono delle norme adeguate, con uno sforzo da parte delle Associazioni, ma soprattutto delle Istituzioni, per fornire alternative possibili agli istituti».

In conclusione va precisato che quando la Legge 112/16 parla di persone con disabilità gravi e gravissime si riferisce alla condizione di vita delle persone, ma, ad oggi, tale norma è attuabile per persone con disabilità medio-lievi, prive di sostegno familiare.
Bisogna collaborare di più per non correre il rischio che la famiglia si senta sola, abbandonata e quindi legittimata a negare il problema o a prendere decisioni estreme. Ad oggi, in Toscana, l’Associazione Oltre lo Sguardo sta realizzando delle coabitazione semestrali, ma i parametri per rientrare nella Legge 112 sono ancora stringati. Il rapporto disabile/operatore previsto, infatti, è di un assistente per cinque ragazzi e va da sé che purtroppo le persone con disabilità ad alto carico assistenziale rimangono fuori.

Ringraziamo per la collaborazione Elena Improta e Sandro Paramatti.

*Pedagogista, curatrice del portale “Piccolo Genio, autrice del libro “Nata Viva (Feltrinelli, 2018).

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