Un “piccolo” riconoscimento alle famiglie con disabilità?

«Non sarebbe male – scrive Giorgio Genta – se alle famiglie con disabilità venisse riconosciuto, almeno in questa circostanza, un merito importante: avere curato amorevolmente e a casa i familiari con le più gravi disabilità e continuare a farlo. No, non vogliamo una medaglietta di latta! Noi famiglie con disabilità chiediamo “solo”, una volta passata la tempesta virale, servizi dedicati più sburocraticizzati, più umani, più utili. E magari, già che ci siamo, qualche soldo in più!»

Henry Moore, "Gruppo di famiglia", 1945

Henry Moore, “Gruppo di famiglia”, 1945

Non sarebbe male se alle famiglie con disabilità venisse riconosciuto, almeno in questa circostanza, un merito importante: avere curato amorevolmente e a casa i familiari con le più gravi disabilità e continuare a farlo.
Questa filosofia di vita, chiamata oggi “medicina amorevole”, ha evitato molte istituzionalizzazioni – soprattutto oggi, che le strutture residenziali mostrano una preoccupante permeabilità  al Covid-19 – e in particolare ricorsi al Pronto Soccorso e ospedalizzazioni improprie.
Ogni persona con disabilità gravissima che è a casa rende potenzialmente libero un posto in rianimazione, in terapia intensiva, in medicina d’urgenza o comunque in reparti ad alta specializzazione.

No, non vogliamo una medaglietta di latta! Come gli infermieri hanno fatto chiaramente capire che non si può morire per 1.400 euro al mese, pur restando stoicamente al “posto di combattimento”, noi famiglie con disabilità chiediamo “solo”, una volta passata la tempesta virale, servizi dedicati più sburocraticizzati, più umani, più utili.
E magari, già che ci siamo, qualche soldo in più!

Caregiver familiare.

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