Quando le riserve ostacolano la reale applicazione della Convenzione ONU

Dopo avere esaminato qualche tempo fa le riserve espresse dalla Gran Bretagna nel ratificare la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ci dedichiamo oggi a una riserva di poche righe, espressa da un piccolo Stato asiatico, come il Sultanato del Brunei, che tuttavia esemplifica con molta chiarezza quanto sottolineato da alcuni esperti del settore dei diritti umani, ovvero che l’istituto della riserva può realmente costituire uno dei principali ostacoli a un’effettiva protezione dei diritti umani a livello internazionale e universale

Elaborazione grafica dedicata alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità

Un’elaborazione grafica dedicata alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che dal 2009 è Legge dello Stato Italiano

Nello spiegare su queste stesse pagine la differenza tra sottoscrizione e ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, avevamo concluso segnalando che un Trattato Internazionale sui Diritti Umani può anche essere ratificato con riserva, istituto mediante il quale uno Stato manifesta la propria volontà di non accettare determinate clausole di un Trattato multilaterale, di accettarle con alcune modifiche oppure secondo una determinata interpretazione. Ne consegue che tra lo Stato che presenta una riserva e gli altri Paesi contraenti, l’accordo si forma solo per la parte non investita dalla riserva stessa.
Questo, secondo vari esperti del settore dei diritti umani, porta a una conseguenza non certo positiva, ovvero che «i Trattati Internazionali sui Diritti Umani – come ha scritto ad esempio Laura Grimaldi nel sito “Iusininitere.it” – pur venendo ratificati dalla maggior parte degli Stati, non consentono un’applicazione universale degli stessi diritti umani che mirano a tutelare. Proprio l’istituto della riserva, infatti, rende possibile, nella pratica, che alcuni Stati adottino delle leggi nazionali in palese contrasto con le norme dei Trattati. L’istituto della riserva, pertanto, costituisce tutt’ora uno dei principali ostacoli ad un’effettiva protezione dei diritti umani a livello internazionale e universale», anche perché l’eventuale formulazione di un’obiezione formale da parte di altri Stati a una riserva, non preclude in genere l’entrata in vigore di una determinata Convenzione tra i due Stati.

Nello specifico della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, un esempio classico di quanto detto si ha con la riserva espressa dal Sultanato del Brunei, monarchia assoluta di stampo islamico del Sud-Est asiatico, situata nell’Isola del Borneo.
Pur provenendo infatti da una piccola entità statuale, le semplici tre righe di quella riserva rischiano di minare il senso stesso della Convenzione, come hanno sottolineato numerosi Paesi, tra cui anche il nostro, nelle rispettive obiezioni formali.

Cosa è stato scritto dunque dal Brunei, l’11 aprile 2016, nel ratificare con riserva la Convenzione? Che «il Governo del Brunei Darussalam esprime la sua riserva riguardo a quelle disposizioni della suddetta Convenzione che potrebbero essere contrarie alla Costituzione del Brunei Darussalam e alle credenze e ai principi dell’Islam, la religione ufficiale del Brunei Darussalam».
Di fronte a tale riserva, come detto, numerosi Stati, tra cui anche l’Italia, si sono pubblicamente espressi con una propria obiezione formale. Si tratta esattamente, oltre al nostro, di Austria, Belgio, Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Lettonia, Norvegia, Perù, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Svezia, Svizzera e Ungheria.
Analoghe le motivazioni adottate, in cui si parla di una riserva «di portata generale e indeterminata, che non definisce chiaramente per gli altri Stati Parti della Convenzione la misura in cui lo Stato riservante ha accettato gli obblighi della Convenzione», rivelandone, dunque, «l’incompatibilità con l’oggetto e lo scopo stesso della Convenzione».
Tra le più dettagliate vi sono quelle del Portogallo e della Svezia, ove si scrive che «le riserve in base alle quali uno Stato Parte limita le proprie responsabilità ai sensi della Convenzione, invocando riferimenti generali al diritto nazionale o religioso possono far sorgere dubbi sugli impegni dello Stato riservante per l’oggetto e lo scopo della Convenzione e, inoltre, contribuire a minare le basi del diritto internazionale diritto dei trattati. È infatti nell’interesse comune degli Stati che anche i Trattati di cui hanno scelto di diventare parti siano rispettati, per oggetto e scopo, da tutte le parti».
A tal proposito, sono in molti a richiamare sia l’articolo 46 della stessa Convenzione (comma 1: «Non sono ammesse riserve incompatibili con l’oggetto e lo scopo della presente Convenzione»), sia, ancor più in generale, l’articolo 27 della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati del 1969, ove si scrive che «una parte non può invocare le disposizioni del suo diritto interno per giustificare la mancata esecuzione di un trattato».

Si tratta dunque di obiezioni cogenti, che obbligano lo Stato promotore di una riserva a rispettare in ogni caso la Convenzione, al di là delle proprie leggi e della propria religione? Sembrerebbe proprio di no, se è vero che le obiezioni rese pubbliche dai vari Paesi, Italia compresa, si concludono praticamente tutte con una formula pressoché invariata, ovvero che «questa obiezione non preclude l’entrata in vigore della Convenzione tra il nostro Stato e il Brunei», a conferma di quanto detto inizialmente, sul fatto che l’istituto della riserva costituisce uno dei principali ostacoli alla reale attuazione universale di una Convenzione ONU.
Un ulteriore esempio illuminante viene proposto ancora da Laura Grimaldi, nella citata trattazione di «Iusinitinere.it» e non riguarda la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma la CEDAW, ovvero la Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, adottata nel 1979 dall’Assemblea delle Nazioni Unite ed entrata in vigore il 3 settembre 1981.
Nel ratificarla, infatti, lo Stato delle Maldive ha proposto la seguente riserva: «Il Governo della Repubblica delle Maldive sarà conforme alle disposizioni della Convenzione, eccetto per quelle che il Governo consideri contraddittorie ai principi della Sharia Islamica sulla quale si fondano le leggi e le tradizioni delle Maldive». «La Repubblica Maldiviana – commenta quindi Grimaldi – non si considera legata o obbligata da qualsiasi norma della Convenzione che porti alla modifica della propria Costituzione interna, basata, appunto, sulla Sharia. Il governo canadese formulò allora un’obiezione, asserendo l’invalidità della riserva stessa perché incompatibile con l’oggetto e con lo scopo del trattato. Veniva infatti argomentato che il principio di eguaglianza tra uomo e donna, pilastro della Convenzione CEDAW, veniva compromesso da una riserva giustificata dal rispetto della legge islamica. Nonostante questa dura reazione, il governo canadese, però, affermava anche che la formulazione di un’obiezione formale non precludeva l’entrata in vigore della Convenzione tra i due Stati».

Come abbiamo scritto nel nostro primo approfondimento dedicato alle riserve sulla Convenzione e riguardante la Gran Bretagna, varie e di varia natura sono state le riserve presentate a questo Trattato (tutte sono disponibili integralmente nel portale dell’ONU a questo link). Prossimamente ne prenderemo in considerazione altre, a partire da quelle, estremamente delicate e complesse, concernenti l’articolo 12, sull’Uguale riconoscimento dinanzi alla legge delle persone con disabilità. (Stefano Borgato)

Sul tema trattato nel presente testo abbiamo già pubblicato:
° Chi non rispetta la Convenzione ONU viola una Legge dello Stato (a questo link).
° Le riserve degli Stati sulla Convenzione ONU: partiamo dalla Gran Bretagna (a questo link).

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