La Legge antidiscriminazione “colpisce” ancora e stavolta è disabilità adulta

«Non c’è ancora molta giurisprudenza sulla disabilità adulta e sulle responsabilità degli Enti Pubblici, quanta ce n’è invece, ad esempio, sulla scuola. Per questo riteniamo tale pronunciamento un faro illuminante, perché riconosce il diritto della persona con disabilità adulta ad interventi di qualità efficaci e adeguati ai suoi specifici bisogni»: la Legge 67/06 antidiscriminazione e l’articolo 14 della Legge 328/00 sul progetto individualizzato sono i capisaldi di un’importante Ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia, commentata così dall’avvocatessa che ha supportato l’azione legale

Giovane con disabilità in carrozzina, sul tetto di un palazzo, con le braccia aperteMolte volte abbiamo sottolineato su queste pagine come la Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni) sia una norma sempre più degna di diffusione e visibilità, per i suoi potenziali effetti dirompenti, e alcuni pronunciamenti giudiziari di questo periodo lo stanno ulteriormente dimostrando.
Solo ieri, ad esempio, abbiamo riferito di come il Tribunale di Milano abbia condannato per discriminazione il Comune di Milano e la Regione Lombardia, in riferimento al trasporto a scuola degli alunni e delle alunne con disabilità, proprio in base alla Legge 67/06. C’è poi un’altra Ordinanza, prodotta questa volta dal Tribunale di Reggio Emilia, che merita certamente grande attenzione e che potrà costituire senza dubbio un importante precedente.

A spiegare la vicenda all’agenzia «Redattore Sociale» è stata la mamma di una giovane con grave disabilità fisica e intellettiva, che frequenta un Centro Sociale Riabilitativo Diurno. «Mia figlia – ha dichiarato – ha esigenze particolari e richiede quindi personale adeguatamente formato, che sia capace di interagire con lei e non solo di accudirla. Lei ha un progetto individualizzato basato sulla comunicazione e lo sviluppo delle autonomie, ma per realizzarlo serve appunto una formazione specifica, che è stata fatta negli ani, l’ultima alla fine del 2018, con successiva verifica. Proprio in quella sede due operatori risultarono non idonei a supportare le esigenze specifiche di mia figlia. Ho chiesto dunque che non lavorassero con lei, perché dare una prestazione errata o inadeguata significava peggiorarne la situazione, procurandole regressioni e successive frustrazioni. Nonostante le mie richieste, tuttavia, questi operatori hanno continuato a seguirla e, di conseguenza, gli obiettivi specifici del progetto educativo individualizzato pensato per lei non potevano di fatto essere conseguiti. La vedevo sofferente e impossibilitata ad esprimersi, limitata nelle sue capacità di comunicare e di relazionarsi, cosa che per chi non è verbale è un’esigenza e sempre una priorità, altrimenti anche il rispetto per la persona viene a mancare».

A quel punto, la madre della giovane si è rivolta a un legale, avviando un’azione nei confronti del Comune di Reggio Emilia, del Servizio Handicap Adulto dell’AUSL locale (Azienda Sanitaria Locale) e dell’Ente Gestore del Centro.
Ebbene, tutti gli Enti chiamati in causa sono stati condannati dal Tribunale di Reggio Emilia, con un’Ordinanza che non usa certo mezzi termini. Vi si scrive infatti che «il progetto individuale ex art. 14 della Legge 328/00 ha determinato l’obbligo dell’ente gestore di garantire alla giovane le prestazioni programmate e il suo correlato diritto all’assistenza e all’educazione, come concretamente pianificata, in relazione alle sue specifiche necessità; siccome non vi è dubbio che l’omessa attuazione del progetto individuale integri gli estremi di una discriminazione indiretta, sanzionabile ai sensi della Legge 67/06, il Giudice riconosce inoltre che l’impiego di personale inadeguato ad affrontare le specifiche esigenze della giovane ha inevitabilmente determinato la frustrazione dell’obiettivo prefissato nel progetto individuale e quanto meno il rallentamento nel perseguimento di quest’ultimo, con conseguente diritto per le ricorrenti di ottenere il risarcimento del relativo danno patito [grassetti nostri in questa e in tutte le citazioni, N.d.R.]».

Oltre alla logica soddisfazione espressa sia dalla legale che dalla madre, per un provvedimento ritenuto «un faro illuminante, perché riconosce il diritto della persona con disabilità adulta alla fruizione di interventi di qualità efficaci e adeguati ai suoi specifici bisogni», l’avvocatessa sottolinea che un ulteriore aspetto importante del pronunciamento sta nel fatto che «sulla disabilità adulta e sulle responsabilità degli Enti Pubblici non c’è molta giurisprudenza, quanta ce n’è invece su altri tipi di servizi, primo fra tutti quello scolastico».

Ora, dunque, come stabilito dal Giudice, alla giovane dovrà essere assicurato personale opportunamente formato e un piano educativo adeguato ai suoi bisogni. «Vorrei che molte altre famiglie – ha affermato ancora la madre – venissero a conoscenza di questo provvedimento, che riconosce un diritto di cui non si è completamente consapevoli. Se cioè un Centro Riabilitativo si è tale, deve esserlo davvero. Purtroppo molti adulti con disabilità devono accettare servizi che si dichiarano riabilitativi, ma che offrono solo assistenza e accudimento. Noi famiglie, da parte nostra, dobbiamo pretendere per i nostri figli percorsi che li orientino verso un progetto di vita, sviluppando al massimo le loro autonomie e competenze. E i Comuni, da parte loro, hanno il dovere di vigilare, perché questo diritto non resti solo sulla carta».

A buona ragione, quindi, si può dire che ancora una volta la Legge 67/06 “ha fatto centro”, colpendo, questa volta, il “bersaglio” dei diritti riguardanti la disabilità adulta. (S.B.)

Gli interessati alla consultazione integrale dell’Ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia di cui si parla nel presente testo possono richiederlo alla nostra redazione (info@superando.it).

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