È scomparso l’11 dicembre scorso, all’età di 89 anni, William Fitzgerald House, alias “zio Bill” o “il dottor House”, come simpaticamente veniva chiamato.
A molte persone il nome di William House non dirà molto, e tuttavia è degno di nota il fatto che – tra le altre cose, nel lontano 1960, fu l’inventore del cosiddetto “orecchio bionico”, poi chiamato più correttamente impianto cocleare.
I primi modelli erano rudimentali e addirittura, fino al 1968, quasi inutilizzabili, dal momento che solo in quell’anno si scoprì come avvalersi del silicone, sostanza inerte che permette di inserire corpi estranei metallici nell’organismo umano con buone possibilità di non provocare rigetto.
Per tutti gli anni Settanta, House studiò il modo per migliorarli e finalmente all’inizio del decennio successivo si riuscì ad avere il permesso dell’FDA (la Food and Drug Administration americana), per la commercializzazione. Il resto è storia.
Il nome di William House è legato anche ad altre scoperte – è considerato ad esempio il “padre della Neuro-otologia” – e a fatti di cronaca che fecero clamore all’epoca. Nel 1972 si trovò a dover curare l’astronauta della missione Apollo 14 Alan Shepard, che soffriva di vertigini e si era visto revocare il permesso per andare nello spazio. Al termine della missione, Shepard ringraziò pubblicamente il dottor House, dicendo che, grazie a lui, era riuscito a mettere piede sulla Luna.
William House era un po’ un “pesce fuor d’acqua” nell’establishment medico, e negli ultimi anni pubblicò la sua (amara) autobiografia, intitolata The Struggles of a Medical Innovator (“Le battaglie di un medico innovatore”).
E tuttavia, la cosa forse più triste è che la sua scomparsa sia passata quasi completamente sotto silenzio: oltreoceano il «Los Angeles Times» ha dedicato un articolo in memoria, in Europa quasi niente, e non parliamo del nostro Paese.
Oggi, però, la scoperta più importante del dottor House – seppure assai diversa da come lui l’aveva ideata – è utilizzata da più di duecentomila persone (di cui circa dodicimila in Italia).
Penso quindi che se la sua scomparsa è passata inosservata, qualcuno che dica “Grazie, dottor House!” ci debba essere, perché un minimo di gratitudine è doverosa, per chi sembra essere stato dimenticato troppo in fretta.