Quando smetterò di essere caregiver, non avrò diritto a nulla

«Quando smetterò di essere caregiver di mio marito – scrive Silvia Cerqua, prendendo spunto da un precedente contributo da noi pubblicato, sempre sul tema dei caregiver -, non avrò diritto a nulla. Non ho lavorato, ma ho fatto risparmiare allo Stato in assistenza domiciliare, psicologo, infermiere, autista, badante, donna delle pulizie e mille altri mestieri. Mi sento umiliata e vorrei vedere riconosciuti questi anni di assistenza, perché io ho lavorato senza sosta, giorno e notte, con il Covid, con una mano ingessata, in gravidanza e in lutto. Per me niente malattia o ferie»

In riferimento al testo Caregiver familiare, oppure “per scelta” o “condiviso con la comunità”?, da noi proposto nei giorni scorsi a firma di Salvatore Nocera, riceviamo e ben volentieri pubblichiamo.

Caregiver con persona disabile

Una caregiver familiare, insieme a una persona con disabilità grave

Gentile avvocato Nocera, lei avrebbe il triplice privilegio di rispondere nel merito della questione caregiver in quanto avvocato, presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e come persona con disabilità, tutti punti di vista rispettabilissimi e autorevolissimi che se solo si contaminassero tra loro, invece che ragionare per compartimenti stagni, avrebbe ottenuto forse il pezzo più visionario mai letto; invece è stata una grande occasione sprecata, perché ha preferito far parlare il meno titolato dei tre, l’avvocato.
Bene, allora è al Nocera avvocato che rispondo, perché mi incuriosiva la sua visione di contratto che sottoscriviamo al matrimonio, secondo cui siamo reciprocamente obbligati a prenderci cura dell’altro, ma non fino al punto da rinunciare ad una vita lavorativa; solo allora o ti rivolgi a un «caregiver per scelta» volontaria e gratuita, un amico o un estraneo che nel suo tempo libero viene ad assistere amorevolmente, facile come azzeccare la cinquina al Superenalotto, oppure pagando «un lavoratore diverso dai familiari» e se non hai soldi abbastanza, interviene la famigerata ed efficientissima assistenza domiciliare italiana.
Poi ci sono le “situazioni eccezionali” di coloro che si dedicano all’assistenza nonostante il lavoro, e che andrebbero aiutate solo alla pensione, quando ormai sfinite, possono vedersi riconosciuto non un “salario”, giammai, ma una meritatissima pensione da spendere in cure mediche, perché certamente usurate dall’assistenza continua. Purché non si rinunci al lavoro.
Ma non sarebbe più semplice considerare lavoratore il caregiver? Per poi costruire attorno ad esso tutta quella serie di aiuti virtuosi e inesistenti di cui fantastica?

Quando smetterò di essere caregiver di mio marito, non avrò diritto a nulla, sa perché? Non ho lavorato, ma ho fatto risparmiare allo Stato in assistenza domiciliare, psicologo, infermiere, autista, badante, donna delle pulizie e mille altri mestieri; in più, gli ho regalato due italiche cittadine nuove di zecca che ho fatto crescere e istruire con la sola pensione di mio marito e qualche elemosina che lo stesso Stato elargisce.
Sa come mi sento? Umiliata. Vorrei vedere riconosciuti questi anni di assistenza, perché io ho lavorato senza sosta, giorno e notte, con il Covid, con una mano ingessata, in gravidanza e in lutto. Per me niente malattia o ferie.

Ora mi rivolgo al Nocera persona con disabilità: sa qual è il peggior nemico della persona con disabilità? La persona con disabilità stessa, convinta di essere l’unico esempio da seguire, ignorando la moltitudine di situazioni che il mondo della disabilità stessa presenta.

Ed infine è al Nocera impegnato che porgo una domanda: è a conoscenza del fatto che solo grazie ad una petizione depositata in Parlamento Europeo dall’Associazione Genitori Tosti in Tutti i Posti e presa in carico dalla commissione di riferimento, che è scaturita un’indagine conoscitiva nei confronti del Governo italiano?

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