In questi giorni i giornali e le TV sono pieni di cronache, interviste, discussioni sul caso eclatante dell’alunno con disabilità picchiato a scuola da alcuni compagni che l’hanno pure ripreso con la telecamera e hanno caricato su internet le immagini fra i “video più divertenti”.
Tante sono le cose strane in questa incredibile vicenda: l’episodio vergognoso è avvenuto nel giugno scorso, ma se n’è avuta notizia solo ora, dopo che l’Associazione Vivi Down di Milano, viste le ributtanti immagini su internet, ha sporto denuncia per diffamazione.
Trattandosi poi della denuncia di un’associazione che si occupa di persone con sindrome di Down, tutti hanno subito pensato che la vittima fosse tale e invece grande meraviglia quando si è saputo che si trattava di un ragazzino con un’altra disabilità intellettiva, come se vi debba essere una rigida suddivisione per categorie, mentre al contrario, ad esempio, l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e l’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettivi e/o Relazionali) hanno rispettivamente costituito un osservatorio nazionale sull’integrazione scolastica, con relativo sito web, con i quali affrontano i problemi didattici relativi a tutte le tipologie di minorazioni.
E ancora, il maltrattamento è avvenuto in classe, nella quale, pur se quattro “bulletti di buona famiglia” hanno compiuto le loro “gesta eroiche”, il resto dei compagni è rimasto totalmente indifferente, al punto che uno della “banda dei quattro” poteva tranquillamente scrivere alla lavagna frasi di stampo nazista e un altro della stessa banda poteva comodamente filmare quanto stavano facendo i due picchiatori che completavano il gruppo.
Sorgono spontanee alcune domande: per fare tutto questo occorrono alcuni minuti; ma i docenti dove si trovavano? Si deve ritenere per certo che non fossero in classe perché, diversamente, come si dovrebbero qualificare? Il primo docente che è entrato in classe dopo l’accaduto non si è reso conto del clima eccitato che doveva serpeggiare fra i ragazzi? È possibile che un episodio di questa portata possa avvenire in una classe di almeno venticinque alunni, senza che nessuno se ne renda conto o si muova per fermarlo, denunciarlo o per indagare?
Su «la Repubblica» del 15 novembre scorso si legge che alcuni docenti della scuola superiore, teatro dell’accaduto, spiegano il fatto con l’insufficiente numero di insegnanti di sostegno assegnati alla scuola. È possibile che la perversa logica della «delega dell’integrazione scolastica ai soli insegnanti di sostegno» deresponsabilizzi fino a tal punto i docenti curricolari?
Sino ad oggi avevamo sentito dire, con nostro disappunto, che se mancava l’insegnante di sostegno, l’alunno con disabilità doveva uscire dalla classe o, addirittura, andarsene a casa; ma ancora nessuno si era spinto tanto avanti (o in basso?) da delegare agli insegnanti di sostegno anche la cultura dell’accoglienza degli alunni con disabilità, anzi la loro incolumità fisica o, di più, il rispetto della loro dignità e del livello di civiltà che la nostra società sostiene di possedere in misura superiore ad altre!
Ma che scuola è quella nella quale si delega solo ad alcune ore di presenza di un docente l’educazione di tutti gli alunni? Sì, perché qui, oltre agli aspetti penali sui quali giustamente sta indagando la magistratura ordinaria e minorile, il fatto più eclatante è la mancanza di educazione al rispetto delle persone, specie quelle più deboli, che in questa vicenda emerge in tutta la sua devastante laidezza.
Chi scrive, indignato, queste righe, è un docente pensionato che – da ragazzo minorato della vista – praticò positivamente l’integrazione scolastica a Gela, nel profondo sud degli anni Cinquanta, quando ancora neppure si sapeva cosa fosse l’integrazione scolastica e gli insegnanti “di sostegno” non erano ancora stati inventati né utilizzati come comodo scaricabarile per giustificare la delega di qualunque responsabilità a loro da parte di molti docenti curricolari.
Che in questa vicenda abbia un peso anche la norma del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del comparto-scuola, secondo cui l’aggiornamento dei docenti (anche sull’integrazione scolastica) non è un loro dovere, ma solo un diritto discrezionalmente esercitabile? Io credo in parte di sì. Infatti, la citazione di «Repubblica» ne è la riprova più evidente.
L’integrazione scolastica, come cominciammo a praticarla dalla fine degli anni Sessanta, era frutto della presa in carico del progetto da parte di tutti i docenti della classe che educavano gli alunni ad accogliere il compagno con disabilità, con ciò stesso realizzando l’integrazione.
Con l’andar del tempo e con l’istituzione dei “posti di sostegno”, quell’iniziale spinta propulsiva all’integrazione come processo corale è venuta sempre più affievolendosi e gli alunni con disabilità – specie nelle scuole medie e soprattutto in quelle superiori – sono sempre più lasciati soli dai docenti curricolari e dai compagni, sempre meno educati alla cultura e alla prassi dell’integrazione.
Così continuando, nella maggioranza dei casi ci vorrà un insegnante “di sostegno” per ciascuno dei circa 170.000 alunni con disabilità frequentanti le scuole pubbliche comuni e per tutta la durata delle lezioni, come cominciano a stabilire ormai alcune centinaia di sentenze dei tribunali italiani.
Ma se questo “ andazzo” si affermasse, non sarebbe la fine dell’integrazione scolastica? Si sta rendendo conto il nuovo ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni di come stiamo rischiando di tornare paurosamente indietro? Ministro che – occorre dargliene pubblicamente atto – appena nominato si è recato alla “Marcia di Barbiana”, annuale pellegrinaggio sulla tomba di don Milani e ha immediatamente dopo riconvocato e rivitalizzato l’Osservatorio Ministeriale sull’Integrazione Scolastica che languiva da tempo sotto il precedente Governo.
Però a questo punto, come diciamo a Roma, «deve darsi ‘na mossa». Fa bene cioè ad avviare ispezioni sul grave fatto accaduto e a prendere, ove necessario, misure disciplinari verso dirigenti, docenti e alunni colpevoli di fatti commessi o di omissioni. Ma il provvedimento più urgente che a mio sommesso avviso egli dovrebbe assumere sarebbe la convocazione immediata dei sindacati della scuola per modificare la normativa contrattuale sul “non dovere” di fomazione e aggiornamento dei docenti, specie in materia di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Anzi, l’iniziativa dovrebbe essere presa dai sindacati che negli anni Sessanta furono i più convinti sostenitori dell’importanza dell’integrazione operata da tutti i docenti di classe.
Il ministro Moratti, poco tempo prima dell’abbandono del Dicastero, emanò le Linee-Guida per la corretta accoglienza degli aluni stranieri. Non sarebbe allora urgente che il ministro Fioroni emanasse delle “Linee-Guida” per il rilancio dei valori dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, stigmatizzandone le cattive prassi ed evidenziando quelle positive di qualità, che pur si realizzano?
Se questo innominabile episodio di teppismo fisico e mediatico producesse almeno questo effetto, potremmo sentirci tutti meno frustrati.
*Vicepresidente nazionale FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e responsabile del settore giuridico dell’osservatorio AIPD sull’integrazione scolastica.