La formazione agli insegnanti, in particolar modo a quelli di sostegno: è questa la soluzione per realizzare una reale inclusione dei bambini e dei ragazzi con autismo secondo Carlo Hanau, docente di Programmazione e Organizzazione dei Servizi Sociali e Sanitari dell’Università di Modena e Reggio Emilia, intervenuto al convegno denominato L’autismo tra bisogni clinici e aspetti sociali, organizzato nei giorni scorsi a Roma dalle associazioni Siamo Roma, SRS (Studi e Ricerche in Sanità) e Progetto Filippide [se ne legga in questo sito la presentazione cliccando qui, N.d.R.].
Presenti alla tavola rotonda per fare il punto sull’autismo e le sindromi correlate, vi erano anche Francesco Maria Orsi, consigliere comunale di Roma, Sebastiano Capurso, amministratore del Consorzio Ri.Rei. P.D., Paolo Curatolo, direttore della Cattedra di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Roma, Laura Imbimbo, presidente di Gruppo Asperger ONLUS e Alberto Siracusano, direttore della Cattedra di Psichiatria dell’Università di Roma, Policlinico di Tor Vergata.
Il convegno partiva dall’assunto che l’autismo e le sindromi correlate rappresentano, causa l’elevata incidenza dei casi, una problematica da monitorare per la ricerca di soluzioni comune condivise.
«Le forme autistiche più o meno gravi – ha spiegato Hanau – colpiscono undici persone su mille, mentre sei bambini su mille possono essere diagnosticati all’età di 4-6 anni. Questo dato ha la particolarità di rimanere invariato nel tempo».
La certezza del dato e la creazione di una rete di servizi integrati (sanità, sociale, scuola e famiglia) raffigurano un obiettivo raggiungibile su cui impegnarsi per la presa in carico globale di ogni singolo caso. E proprio sulla singolarità di ciascuna situazione, e sulla necessità di lavorare con un’«educazione speciale personalizzata» ha insistito Hanau, spiegando che «l’unica terapia possibile per un bambino con lo spettro autistico, o per meglio dire con Disturbi Evolutivi Globali (DEG) è quella di un lavoro pensato su misura del paziente, che effettui nella fase iniziale una precisa valutazione individuale dei punti di forza e di debolezza e che poi possa contare sull’accordo di programma fra più istituzioni (Comune, ASL, scuola e luogo di lavoro)».
Per Hanau la scelta effettuata nel nostro Paese di includere e integrare i bambini autistici nella scuola di tutti «è apprezzabile, ma non bisogna dimenticare che non si può usare l’integrazione come mezzo di educazione, ma piuttosto ci si deve prefiggere l’inclusione come fine dell’educazione speciale».
Buone strategie di questo tipo, che stimolino costantemente il bambino autistico, permettono infatti «di ridurre i “comportamenti problema” e dare ai soggetti autistici autonomie nella vita quotidiana e un inserimento lavorativo in ambiente di lavoro nell’età adulta, che permetta di continuare l’inclusione iniziata in età infantile».
Concretamente, quindi, sì a sussidi didattici specifici nelle scuole e progettazione di corsi per insegnanti. «L’Italia – ha concluso Hanau – deve recuperare il tempo perduto, riprendendo le migliori esperienze delle Regioni più avanzate e favorendo con ogni mezzo la collaborazione tra le diverse associazioni di genitori, le ASL, i Comuni, le Province e il mondo imprenditoriale per l’inclusione lavorativa». (Marta Rovagna)
*Testo già apparso in «Redattore Sociale», con il titolo Per l’inclusione dei bambini autistici serve una vera formazione degli insegnanti, e qui ripreso per gentile concessione.