Febbraio 2010: è il momento di fare il punto della situazione circa l’anno scolastico in corso, in tema di insegnamento specializzato di sostegno per alunni con disabilità.
Come anticipato da più parti sociali (professionisti, associazionismo, sindacato…), anche questo 2009-2010 si è caratterizzato per i “tagli” nell’insegnamento di sostegno. Le proteste, le manifestazioni e le azioni di tutela vengono alla luce, però, solo nel periodo tra agosto e ottobre. E nello stesso periodo (o di poco successivo) si leggono le prime Ordinanze o Sentenze dei Tribunali Italiani. Si rimane fermamente convinti che la ricerca della “formula magica” per la corretta integrazione e inclusione (entrambe) dell’alunno con disabilità, non vada ricercata od “ottenuta” attraverso le aule giudiziarie. Il costo sociale complessivo dell’intervento giurisdizionale (al sistema Paese) è troppo alto e sfavorevole per uno Stato che versa in situazione di ristrettezze economiche.
Il controllo giurisdizionale, però, sembra aver “quasi definitivamente consacrato” la correttezza interpretativa delle leggi vigenti – che si ricorda essere state recentemente introdotte – in tema di assegnazione dell’insegnamento di sostegno all’alunno con disabilità, accogliendo le ragioni (e la domanda di giustizia!) prospettate dai familiari. Ciò risulta importante, in considerazione della “giovane età” degli atti normativi sottoposti ai Giudici e delle diverse prime letture che gli operatori del diritto tendevano a compiere.
Ci si esime, in questa sede, dall’approfondire il merito giuridico della questione (sia consentito per questo il rinvio al testo pubblicato anch’esso da Superando, a firma di chi scrive, con il titolo: Insegnanti di sostegno «in deroga»: le norme e le questioni costituzionali, disponibile cliccando qui), ritenendo tra l’altro che nel merito ancora ben ulteriori e diversi commenti possano farsi a sostegno delle ragioni degli alunni con disabilità. Ma, auspicando sempre che non sia più necessario, ce ne riserviamo l’eventuale formulazione nelle aule di giustizia.
Sebbene dunque non sia da tutti condiviso, si ritiene ormai chiaro che il sistema legislativo vigente sia più favorevole di quello previgente. Ma questa “più favorevole previsione normativa” non esplica di fatto gli effetti dovuti a favore delle famiglie e degli studenti con disabilità, i quali, invece, avvertono (e lamentano) una condizione del tutto opposta.
Ragionando diversamente, però, se così non fosse, non si comprenderebbe il perché le aule giudiziarie confermano le ragioni dei familiari. Aule in cui non entrano (come è giusto che sia) elementi extragiuridici (pietismo, compassione ecc.). Emozioni o manifestazioni che, a dire il vero, la crescita culturale e sociale del Paese dovrebbe estinguere, sostituendole con la solidarietà e la vicinanza al concittadino con disabilità, quando questi è alla ricerca del rispetto del diritto leso e non del mero assistenzialismo pietistico mescolato o strumentalizzato tramite la commiserazione.
A tal proposito, infatti, occorrerebbe riflettere che giovani concittadini con disabilità (ovvero anche bambini di 6-7 anni) si ritrovano, di fatto, per il tramite dei genitori, a “citare in giudizio” lo Stato italiano, rimproverando ad esso un’inadeguata integrazione scolastica o la necessità di migliorarla. Ed è davvero triste iniziare un’esperienza di vita di cittadino di uno Stato, muovendo rimproveri allo Stato stesso e ponendo una domanda di giustizia; è ben chiaro, ovviamente, che l’azione giudiziale è espressione dell’esercizio di un diritto di ogni cittadino e avverso chiunque questi si dovesse sentire leso o minacciato. Ma risulta davvero disarmante (per i familiari e non solo) proporlo per questioni di tale delicatezza e importanza.
D’altra parte, una migliore preparazione e inclusione scolastica della persona con disabilità significa anche risparmi per lo Stato. Una politica scolastica efficace e inclusiva, infatti, determina a breve e lungo raggio una diminuzione della spesa per servizi di tipo assistenzialistico nei confronti della persona disabile adulta. Se si riuscissero a “formare” concittadini con disabilità più autonomi, tendenzialmente indipendenti e concretamente inclusi nelle attività quotidiane di una società civile, forse non solo la spesa complessiva, ma anche la dignità e il senso di rispetto e di riconoscimento dell’altrui identità potrebbero essere meglio sentiti da parte di tutti gli altri concittadini.
La situazione in atto presente in tema di assegnazione di insegnamento specializzato di sostegno pare essere tutta determinata dalla matematica offerta sul territorio nazionale di un insegnante di sostegno ogni due alunni con disabilità. Al di là di quello che prevede la norma legislativa – che non si limita a prevedere solo questo aspetto “matematico”, ma, anzi, questa esigenza di economia del sistema la contestualizza e la “imbriglia” all’interno di precise logiche costituzionali di diritto all’istruzione e di “istruzione personalizzata in base alle effettive esigenze rilevate” dell’alunno con disabilità – nell’azione amministrativa di assegnazione delle risorse del sostegno sta prevalendo l’elemento “numerico” sugli elementi giuridici e sui princìpi costituzionali. Il tutto, così, potenzialmente o concretamente lesivo del diritto all’istruzione e, ad avviso di chi scrive, alla salute anche in una visione più generale di qualità di vita presente (capacità di socializzazione, di apprendimento, di elaborazione ecc.) e futura (fino anche alla possibilità di “perdita di chance” di integrazione lavorativa per la persona con disabilità).
I Tribunali Amministrativi Regionali hanno così accolto la lettura e l’applicazione della normativa di riferimento e davvero assai sporadici risultano i provvedimenti di segno contrario. Ovviamente, sul punto, occorre dire che ogni giudizio, ogni causa, fa storia a sé. Sebbene il caso possa infatti apparire simile (illegittima riduzione o insufficiente assegnazione di insegnamento di sostegno), ogni giudizio si contraddistingue per elementi e incognite assai diversificate. E di questo, innanzitutto i familiari, è giusto che ne acquisiscano consapevolezza.
Il sempre tempestivo avvocato Salvatore Nocera [vicepresidente nazionale della FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, N.d.R.] ha già diffuso la notizia del recente deposito di due ordinanze del Consiglio di Stato, organo di giustizia amministrativa di secondo grado (se ne legga cliccando qui) e dall’analisi di questi importanti interventi si evincono diversi elementi. Innanzitutto – come espresso dai Supremi Giudici – che «…l’art. 2, comma 413, della legge 24.12.2007, n. 244 – nello stabilire un rapporto medio, a livello nazionale, fra insegnanti di sostegno e alunni diversamente abili – non escluda attente valutazioni caso per caso, al fine di assicurare il pieno soddisfacimento delle “effettive esigenze rilevate”» e poi, soprattutto, «…che, nel caso di specie, le esigenze in questione risultino adeguatamente specificate nella documentazione clinica in atti, alle cui conclusioni dovranno prioritariamente ispirarsi i provvedimenti in materia di sostegno scolastico».
Ancora una volta, quindi, abbiamo conferma che su una visione “matematica” della distribuzione delle risorse, prevale invece quella delle effettive esigenze rilevate come adeguatamente specificate nella documentazione clinica dell’alunno. D’altra parte ciò significa dire che i diritti alla salute e all’istruzione (diritti umani, inviolabili) prevalgono sulle eventuali ragioni di tipo economico-finanziario. E se i Tribunali italiani dovessero mai pronunciarsi facendo prevalere quest’ultimo elemento sui primi, si ritiene che ciò significherebbe legittimare passi indietro nell’esigibilità di diritti fondamentali dei cittadini e, quindi, l’avallare un affanno e una spirale negativa del livello di civiltà e di democrazia del Paese.
Forse, quindi, potrebbe anche pensarsi che pure su questi temi entri in gioco il rapporto e l’equilibrio tra i tre poteri dello Stato democratico. L’organo giudiziario, forse, oltre che essere la “bocca della legge”, è l’organo deputato a controllare ed evitare una “deriva” del livello di civiltà e di democrazia raggiunto dal nostro Paese (faticosamente, dopo circa trent’anni di scienze sociologiche, pedagogiche, mediche e giuridiche), in tema di integrazione scolastica dell’alunno con disabilità. E ciò non significa affatto attribuire un compito politico a un organo giurisdizionale, ma semplicemente confermare la parità (sistema di pesi e contrappesi) tra Istituzioni Costituzionali e, soprattutto, riconoscere il potere di controllo e di giudizio al fine di applicare correttamente i princìpi costituzionali (che, per fortuna, i Nostri Padri Costituenti ci hanno donato).
Ecco perché si confida che la questione dell’istruzione – già tema importante di per sé, in quanto garanzia del futuro culturale del Paese – venga seriamente dibattuta e risolta “prima e fuori” delle aule giudiziarie. Queste si sono chiaramente espresse condividendo in sostanza la portata legislativa e fornendo indicazioni sulla corretta applicazione. E in tal senso è certamente contra ius [“contro il diritto soggettivo”, N.d.R.] l’assegnazione di un numero di ore insufficienti (o inferiori) rispetto alle effettive esigenze dell’alunno con disabilità. Ma altri nodi rimarrebbero da sciogliere.
L’attuale disfunzione del sistema si manifesta, infatti, nella conclusione dell’iter di assegnazione di ore all’alunno. Tutto il sistema è improntato alla “personalizzazione” del procedimento amministrativo che determina l’assegnazione di ore di sostegno. Ogni alunno ha una “sua” diagnosi funzionale, un profilo dinamico funzionale, un piano educativo personalizzato (e non potrebbe essere diversamente!). Da questi atti – che si ricordano essere atti amministrativi aventi rilevanza e importanza di atti emessi dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio delle sue funzioni – si determina la richiesta di ore di sostegno per l’alunno “Tizio”. Non si comprende però il perché le ore di sostegno vengano poi – si sente dire – «assegnate all’istituto». Non si comprende insomma il perché se tutto l’iter si caratterizza sull’«esigenza personale dell’alunno» – tant’è che se l’Istituto Scolastico “Sempronio” non ha alunni con disabilità non ha motivo di inviare e/o richiedere risorse di sostegno – poi l’esigenza personale cede il passo a un’assegnazione all’istituzione scolastica. Assegnazione all’istituto scolastico generalmente inferiore alla somma delle “esigenze personali” degli alunni con disabilità iscritti e, quindi, determinante una successiva sorta di distribuzione delle ore tra gli alunni, da parte dell’istituto, nel sempre presente tentativo di stendere una coperta “irrimediabilmente corta” per tutti.
Tornando alle aule giudiziarie, attendiamo ancora con ansia il pronunciamento della Corte Costituzionale sulla sollevata questione di legittimità di alcune delle norme in commento. Ma forse, prima che tutte le Istituzioni democratiche e Costituzionali del Nostro Paese si pronuncino – pensando sempre al costo sociale complessivo che al Paese tutto ciò determina e ai “feriti” lasciati sul campo di battaglia – potrebbero farsi adeguate proposte e modifiche per migliorare il sistema vigente e per concretamente garantire un diritto fondamentale per gli alunni e una legittima aspettativa dei genitori dallo Stato.
Sarebbero da rivedere, ad esempio, i temi dell’assistenza igienico personale e della competenza di essa (si veda la chiara contrattazione collettiva nazionale del mondo scuola e le incongruenze che determina invece l’arrogarsi da parte di alcune Regioni della suddetta competenza). Occorrerebbe definitivamente chiarire gli adempimenti, le funzioni, i titoli e il rapporto di lavoro degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione (ex Legge 104/92), nonché le procedure di assegnazione e di ingaggio da parte degli enti locali competenti. Occorrerebbe poi meglio definire i compiti di queste ultime figure rispetto all’insegnamento specializzato di sostegno e, soprattutto, definitivamente pronunciarsi in tema di “continuità didattica”, ricordando che è la scuola al servizio degli studenti (in particolare con disabilità) e non lo studente al servizio delle ragioni di tipo “lavorativo” e di assegnazione annuale delle docenze. Infatti, come si può essere accondiscendenti rispetto a un iter personalizzato di istruzione schizofrenicamente erogato con il mutamento annuale (se non persino in corso d’anno) dell’insegnante di riferimento? O, peggio, come può riceversi istruzione per il tramite di due docenti di sostegno così incaricati per il completamento delle ore assegnate all’alunno?
Occorrerebbe poi – ancor prima di tentare di instillare la “sacra verità” che l’alunno con disabilità è un alunno di tutto il corpo docenti (e non solo dell’insegnante di sostegno) – riuscire a compiere una battaglia forse anche di riconoscimento e rivendicazione del ruolo dell’insegnante di sostegno rispetto agli altri colleghi docenti e, quindi, del rapporto e della convergenza che tutti devono attuare per finalità di socializzazione e di istruzione dell’alunno disabile.
Come può vedersi, quindi, non è solo la “quantità” dell’erogazione del servizio di istruzione a interessare gli operatori, ma la qualità del servizio complessivo e dell’interazione tra il servizio di istruzione e gli operatori specializzati coinvolti in esso. E se oggi i Tribunali vengono chiamati a svolgere un servizio di tutela degli alunni con disabilità e dei loro familiari prevalentemente (se non esclusivamente) con riguardo alla quantità (delle ore di sostegno) del servizio istruzione, nulla vieta o nulla impedisce che domani non vengano aditi chiedendo una verifica della “qualità” del servizio complessivo di istruzione scolastica. Forse, infatti, esistono del livelli essenziali di istruzione (quantitativamente e qualitativamente valutabili) al di sotto dei quali non può più considerarsi soddisfatto il diritto costituzionale all’istruzione.
Forse, allora, un intervento tempestivo e congiunto (politica, economia, sindacato, rappresentanti di categorie, scuola, sanità, associazionismo, famiglie) potrebbe così manifestare all’intera società civile la sensazione di una “democrazia partecipata” e di una seria volontà di cambiamento di alcune dinamiche, tentando di prevenire inutili criticità e costi sociali.
Comprovando così che i familiari non chiedono maggiori costi, ma solo il rispetto dei diritti.
*Avvocato (fmarcellino@videobank.it). L’Autore del presente testo ha rilasciato la concessione alla pubblicazione solo ed esclusivamente al sito Superando.it. Senza il consenso dell’Autore non è consentita alcuna duplicazione del contributo (né in tutto né in parte), tranne il mero rinvio con link ipertestuale alla presente pagina internet.