Alla fine è emerso qualcosa di diverso dalle aspettative. Miriam Ventricelli si è appena laureata in Terapia della Neuropsicomotricità dell’Età Evolutiva presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia (laurea triennale), con una tesi sulla presa in carico del bambino affetto da SMA1 (atrofia muscolare spinale di tipo 1, la più invalidante).«La mia tesi è consistita nell’analizzare le diverse scelte terapeutiche – ci spiega – per individuare quale fosse quella in grado di garantire una migliore qualità di vita alle famiglie. Le tre scelte analizzate sono l’accompagnamento alla morte, che consiste nell’assecondare l’andamento naturale della malattia, la ventilazione non invasiva e la tracheostomia. Ero convinta che la tracheostomia fosse la scelta peggiore in termini di qualità della vita e invece i dati raccolti tramite questionario mi hanno smentito».
Che cosa hai rilevato esattamente?
«Il fatto è che ho somministrato soltanto tre questionari, uno per scelta terapeutica. Non abbastanza per ragionare in termini di statistiche, ovviamente. Quello che è successo è che la famiglia che ha scelto la ventilazione assistita vive nel Sud dell’Italia, in una zona dove l’assistenza è scarsa. Non vengono seguiti a sufficienza e questo li mette in condizioni di disagio, che non pesano invece sulla famiglia che ha scelto la tracheotomia, ma che vive nel Nord dell’Italia, in un’area che garantisce loro assistenza sufficiente e qualificata. Quindi ho dovuto valutare che la scelta in sé è meno importante di tutta una serie di variabili di cui inizialmente non avevo tenuto conto e che invece sono fondamentali nel mettere a fuoco la risposta».
Sono relative alla territorialità?
«Il territorio di appartenenza è uno dei dati principali. C’entrano anche l’approccio delle strutture al trattamento, la gravità delle patologia, il grado di accettazione della patologia da parte dei genitori, la conoscenza della stessa da parte dei medici».
Che valore ha, dunque, la tua ricerca?
«La considero una premessa, che spero apra altri percorsi. Non sono tante le ricerche sulla SMA1 e sarebbe importante fornire alle Istituzioni socio-sanitarie un quadro articolato dei bisogni reali delle famiglie. A questo punto vorrei approfondire».
Che cos’hai in mente?
«Ora cerco lavoro, ma vorrei anche individuare degli enti interessati ad approfondire il questionario su cui mi sono basata, in modo da perfezionarlo e poi somministrarlo a un numero maggiore di famiglie».
Che questionario hai utilizzato?
«Mi sono rifatta a un questionario inglese sulla qualità della vita, che numerava le risposte da 1 a 4; più alto era il numero totale e peggiore era la qualità della vita».
Puoi indicarci più nello specifico le domande che hai formulato?
«Le domande riguardano innanzitutto la gestione della patologia, come si alimenta il bambino, se ha bisogno di essere aspirato durante il giorno ecc. La parte più corposa del questionario riguarda però la qualità della vita del genitore. Le domande sono di questo tenore: riesci a organizzare delle vacanze o anche solo una semplice passeggiata? A prenderti cura di altri membri della famiglia? Ritieni di avere un adeguato ascolto da parte delle strutture di riferimento? Riesci a ritagliarti durante la giornata dei momenti per te stesso/a? Ricevete le attrezzature necessarie? Ti fidi della persona che si prende cura del tuo bambino? Hai avuto un supporto di qualsiasi natura da parte degli specialisti dopo la diagnosi? Senti che la malattia del bambino crea stress nella tua famiglia?».
Il questionario riguarda solo i familiari?
«Sì, mi sono concentrata su di loro. I bambini che ho preso in considerazione sono molto piccoli, non in grado di valutare la loro qualità della vita. L’unica domanda che ho inserito su di loro è: “Siete preoccupati che vostro figlio provi dolore?”».
Ci sono altri elementi che ti hanno colpito nella tua ricerca?
«Che nella famiglia che ha scelto l’accompagnamento la patologia non è quasi per niente un problema. Si muovono liberamente con il bambino, una situazione del tutto diversa da quella del bambino con la tracheostomia che rimane in casa e non si può muovere (altre famiglie che scelgono la tracheostomia portano fuori i figli, ci tengo a puntualizzarlo. Però oggettivamente ogni manovra e ogni spostamento diventa molto più complicato)».
Hai parlato anche della competenza medica, citandola tra le variabili.
«Si tratta di una variabile fondamentale. Mi sono trovata di fronte a una fisioterapista che si è rifiutata di prendere in carico un bambino con la SMA1 perché “le prendeva l’ansia”. Se ci fosse una preparazione più specifica, questi casi non si verificherebbero. Bisogna quindi innanzitutto che io e i miei colleghi ci impegnamo per avere una preparazione adeguata per affrontare questi bambini nella presa in carico. Occorre conoscere bene la patologia, essere in grado di affrontare le emergenze e accompagnare le famiglie e indirizzarle nel percorso di formazione relativo alla gestione del bambino. È una variabile davvero importante: essere seguiti da personale competente, che si sente sicuro di ciò che sta facendo, crea nella famiglia uno stato d’animo di serenità che permette di affrontare tutta la situazione in modo molto diverso da chi è seguito poco o male e si sente di conseguenza solo e disorientato. Inoltre dai questionari emerge che il supporto psicologico è percepito come carente».
Ti sei appoggiata a qualche associazione?
«Ho conosciuto l’Associazione Famiglie SMA durante il suo convegno del 2011. C’ero andata per informarmi sulla patologia e poi sono rimasta collegata a loro. In più ho collaborato con Chiara Mastella, anche lei un riferimento per quella stessa Associazione. Lavora al SAPRE (Settore di Abilitazione Precoce dei Genitori) del Policlinico di Milano e si occupa di formare i genitori in modo che siano in grado di prendersi cura del figlio. Ho lavorato con lei per una settimana».
Prima di queste esperienze cosa sapevi della SMA1?
«Quello che c’è scritto sui libri, ma si trova poco. Quando ho conosciuto Famiglie SMA e Chiara, i suoi racconti e soprattutto direttamente le famiglie, è cambiato tutto. È stata Chiara a farmi capire che, nonostante l’aspetto respiratorio fosse importante, la gestione del bambino comprende moltissimi altri aspetti. Io all’inizio pensavo che la respirazione, essendo il punto più delicato, fosse anche l’unico punto su cui concentrarmi. Inoltre, mi ha coinvolta in altre esperienze con Famiglie SMA e per due volte, a dei loro incontri, mi sono improvvisata animatrice per i loro bambini. La prima volta volevo scappare perché mi ero resa conto di quanto fosse difficile prendere in carico un bambino tanto delicato».
Perché sei rimasta?
«Mi ha colpito la forza delle mamme. Ci sono donne che hanno la mia età, sono tenaci, hanno voglia di fare. Non so se accettano davvero la patologia, ma ne parlano apertamente, vanno avanti. Sono molto solidali tra loro, si scambiano coraggio e informazioni. La famiglia che ha ricevuto una diagnosi da poco, viene trattata come una “figlia”, presa in carico e accompagnata da tutti gli altri».
Il SAPRE forma i genitori su tutti gli aspetti?
«In tre giornate piene, dalle 8 alle 18, insegna tutto quello che c’è da fare con il bambino, da come prenderlo in braccio a come affrontare una crisi respiratoria. Con Chiara Mastella collabora Giancarlo Ottonello, pediatra rianimatore genovese. Insieme i due sono anche autori del libro SMA 1 abita con noi – Vademecum per una sostenibile vita quotidiana a casa».
Perché hai scelto di occuparti di questa patologia?
«Ho due cugini con la SMA 2. È una patologia complessa ma lascia libero lo spazio cognitivo che quindi viene approfondito. Almeno nella mia esperienza, si tratta di persone molto intelligenti».