Il prossimo 15 novembre, invitato in qualità di direttore scientifico dell’IRIFOR [l’Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione dell’UICI-Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, N.d.R.], parteciperò con convinzione ed entusiasmo alla giornata formativa nazionale di Roma, intitolata Legge Delega sull’Inclusione: stato dell’arte e proposte [se ne legga già ampiamente anche nel nostro giornale, N.d.R.].
L’evento – che coinvolgerà tanti e qualificati operatori del settore e delle più importanti Associazioni nazionali di e per persone con disabilità, e al quale presenzierà pure il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone – rappresenterà certamente un’occasione unica, per riflettere, discutere e avanzare proposte in merito all’ormai (si spera) imminente riforma dell’inclusione scolastica. Una riflessione sull’attuale “sistema” del sostegno che sarà senz’altro animata dalla certezza da tutti condivisa di non doversi “trincerare” nella tutela ad ogni costo dell’esistente o in rimpianti del passato. Al contrario, bisogna guardare avanti con “realismo”, per garantire il migliore futuro possibile all’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità italiani.
E per raggiungere tale obiettivo, a mio avviso, non servono riforme “rivoluzionarie” od “opere faraoniche”, quanto piuttosto una proposta sostenibile per l’inclusione, compatibile con le profonde trasformazioni in atto, ma che sia di qualità e, soprattutto, rispondente alla necessità di dover provvedere con urgenza e quanto prima possibile a un adeguato supporto ai nostri ragazzi, alle loro famiglie e alle scuole da essi frequentate.
Fortemente persuaso di ciò, la mia seguente proposta per l’inclusione è il frutto non tanto di mere elucubrazioni mentali, quanto della mia esperienza concreta a stretto contatto con la faticosa quotidianità didattica degli allievi con disabilità. Essa si basa sui seguenti tre pilastri portanti:
a) una preparazione iniziale sulle diverse tematiche della disabilità da parte dei docenti curricolari e un percorso formativo universitario specifico dei futuri insegnanti per il sostegno, che permetta loro l’accesso a un ruolo “definitivo”;
b) una riorganizzazione dell’intero “contesto” dell’inclusione, con la creazione di “centri di servizio” specializzati;
c) la formazione e il riconoscimento di specifiche “figure” per il supporto e l’inclusione scolastica dei disabili.
È quasi pleonastico sottolineare che una delle più pressanti e cogenti richieste delle famiglie è l’indifferibile e inderogabile esigenza di una maggiore specializzazione dei docenti titolari e per il sostegno, di una loro maggiore continuità e della cessazione del perverso meccanismo della delega all’insegnante di sostegno dell’alunno con disabilità. Oggi, infatti – a causa dell’inadeguatezza professionale dei docenti curricolari della scuola di ogni ordine e grado nella presa in carico degli alunni/studenti disabili, dovuta alla mancanza del possesso di specifiche competenze didattico-pedagogiche, tecnico-metodologiche, di comunicazione e di relazione -, assistiamo sovente e desolatamente alla pericolosa china della loro delega del ragazzo con disabilità al solo docente per il sostegno, con il suo conseguente isolamento dal resto della classe e lo svolgimento delle sue attività didattiche esclusivamente nelle tristemente note “aule del sostegno”.
Come se non bastasse, a tali elementi di grave criticità, si aggiunge spesso la scarsa preparazione dei docenti di sostegno, risultato di una formazione che, dall’iniziale carattere “polivalente” dei “corsi biennali” della fine degli Anni Ottanta e all’inizio degli Anni Novanta, oggi – prima con le SSIS [Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario, N.d.R.] e ora con i corsi di perfezionamento, è diventata indifferenziata, troppo generica, incapace di dare risposte idonee ed efficaci ai bisogni educativi particolari e specifici delle singole disabilità. Per non parlare, poi, della precarietà e ambiguità del ruolo e della funzione dei docenti italiani per il sostegno. Essi, infatti, hanno l’obbligo di restare sul sostegno per cinque anni, ma non nella stessa scuola e non entrano a far parte dell’organico di diritto, restando nel limbo del cosiddetto “organico provinciale”. Inoltre, relativamente alla loro funzione, persino loro non sanno bene se il loro compito sia quello di docenti della didattica disciplinare o di docenti a supporto dell’insegnante titolare della disciplina, nella progettazione e nell’attuazione di percorsi formativi inclusivi.
Al riguardo, io ritengo che tali ambiguità possano essere superate – come suggerito dalla recente Proposta di Legge n. 2444, promossa dalle organizzazioni FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali delle Persone con Disabilità) – solo adoperandosi con tutte le forze nel migliorare la qualità del livello di inclusione scolastica dei nostri ragazzi. E questo significativo traguardo, a detta di FISH e FAND – e chi scrive è totalmente d’accordo con la loro proposta – può essere perseguito attraverso una preparazione iniziale di base di tutti i futuri docenti curricolari sulle specifiche problematiche riferibili alla disabilità, da garantire già all’Università, con la frequenza di appositi moduli disciplinari in Pedagogia Speciale e Didattica Inclusiva, che rilascino almeno trenta CFU (Crediti Formativi Universitari).
Ma, soprattutto, ancora più ragguardevole sarebbe l’attivazione di uno specifico percorso formativo universitario per i futuri docenti per il sostegno, con la possibilità di accedere a un ruolo e a una “carriera” definita e di permanere all’interno della medesima scuola per almeno cinque anni. Questa separazione dei ruoli e delle carriere dei docenti curricolari e per il sostegno non determinerebbe del resto una deriva verso la “medicalizzazione” e “sanitarizzazione” del percorso formativo degli insegnanti di sostegno – come denunciato da qualche detrattore della Proposta di Legge di cui sopra -, ma, al contrario, rafforzerebbe e qualificherebbe ulteriormente, a parer mio, le loro competenze pedagogiche e didattiche, rendendoli finalmente “progettisti e attuatori” di modelli veramente inclusivi, capaci di supportare il collega titolare e il Consiglio di Classe e di contribuire all’elaborazione di un PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa) veramente “accogliente” per tutti.
D’altra parte, non considero utile, dal punto di vista pedagogico e didattico, il sistema della “cattedra mista” proposto dalla Legge 107/15 [Riforma della “Buona Scuola”, N.d.R.], in quanto tale modalità organizzativa, a mio modesto avviso, risulterebbe poco praticabile ed efficace per quei ragazzi con disabilità che abbisognassero di un rapporto di uno a uno con il loro docente e per quelli per il cui PEI (Piano Educativo Individualizzato), il terapista e la famiglia valutassero inopportuno lavorare con più insegnanti curricolari di riferimento.
Ma, in particolar modo, ritengo quella della “cattedra mista” una soluzione didattica sbagliata, perché più centrata sulle esigenze di “gratificazione” professionale dell’insegnante che sugli effettivi bisogni formativi specifici degli alunni/studenti con disabilità i quali, con siffatto modello scolastico, rischierebbero di non avere né un sostegno, né insegnamenti disciplinari idonei e sufficienti.
Per quanto concerne invece la preparazione e l’aggiornamento dei circa 750.000 docenti italiani in servizio (curricolari e per il sostegno) sulle diverse problematiche della disabilità, le recentissime risorse della cosiddetta “Carta del Prof” e del “Piano Triennale di Formazione Obbligatoria” (quest’ultimo ha tra le sue priorità tematiche anche l’inclusione scolastica) potrebbero costituire e sicuramente costituiranno un’altra arma vincente a disposizione del sistema educativo di istruzione, per implementare e fornire agli insegnanti che già lavorano una formazione più adeguata sulla disabilità. Formazione specifica obbligatoria sulle diverse tematiche della disabilità, che io reputo debba essere estesa a tutto il personale della scuola in servizio, ivi compresi i dirigenti scolastici, gli assistenti tecnico-amministrativi (ATA) e i collaboratori scolastici.
Nell’àmbito della prossima Legge Delega sul sostegno, un ineludibile aspetto da attenzionare è l’improcrastinabile impellenza di dover rafforzare e “riorganizzare” il contesto dell’inclusione scolastica. Infatti, la sola assegnazione dell’insegnante di sostegno all’alunno/studente con disabilità non è sufficiente a garantirne il successo scolastico e formativo, se non affiancata da un contesto veramente inclusivo.
In altre parole, la nomina del docente per il sostegno – pur rappresentando un sacrosanto diritto assolutamente esigibile dai nostri ragazzi e dalle loro famiglie – rischia da sola di essere quasi inutile e di ripetere le “distorsioni” e gli sbagli dell’attuale modello dell’inclusione scolastica, che hanno finito per provocare i deprecabili fenomeni della “deresponsabilizzazione” dei docenti curricolari rispetto ai loro alunni con disabilità e la sopraccitata “delega” al solo collega di sostegno dei loro insegnamenti e delle loro valutazioni.
Come egregiamente scritto da Luciano Paschetta in un suo recente articolo pubblicato su queste stesse pagine (Dal docente di sostegno al sostegno del contesto), anch’io concordo nell’affermare che soltanto in un contesto scolastico veramente inclusivo e accogliente, dove il PAI (Piano Annuale per l’Inclusione) sia parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni scolastiche italiane e, dunque, anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa, si potranno realisticamente garantire per tutti e per ciascuno quelle condizioni di pari opportunità nel raggiungimento del massimo possibile dei traguardi d’istruzione, tanto decantate da tutta la più recente normativa italiana sull’autonomia scolastica.
Da questo punto di vista, dovrà essere particolare cura del Ministero mettere tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado nelle reali condizioni di sfruttare al meglio ogni strumento che l’autonomia loro consente (fino alla recentissima e criticatissima Riforma sulla Buona Scuola), per implementare e migliorare la qualità del processo di inclusione scolastica degli alunni con disabilità, creando strutture organizzative flessibili e più confacenti alle effettive esigenze formative dei diversi alunni e utilizzando in modo “funzionale” l’organico “potenziato” per la progettazione e realizzazione di percorsi personalizzati e individualizzati, di insegnamenti aggiuntivi e opzionali, per classi aperte e parallele, per gruppi omogenei ed eterogenei e di attività didattiche laboratoriali e curricolari ed extracurricolari integrative.
Credo insomma che solo un contesto così strutturato possa favorire e promuovere, accanto all’indispensabile presenza del docente per il sostegno, una didattica finalmente e realmente inclusiva e for all.
“Riorganizzare” tuttavia il contesto del sostegno significa pure creare dei “centri di servizio” specializzati, dei luoghi cioè dove sia possibile fornire adeguata, efficace ed efficiente consulenza specifica agli allievi con disabilità, ai loro genitori, ai loro docenti curricolari e di sostegno e, più in generale, all’intero contesto scolastico.
Restando ancorato alla realtà che seguo più da vicino, da persona con disabilità visiva e anche da consigliere nazionale della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi, devo dire che da parte nostra non siamo rimasti a guardare e che, a proposito della necessità di istituire dei centri specializzati in favore dei nostri ragazzi, sin dal 1997, grazie alla Legge 284/97, in stretta sinergia con la Biblioteca Italiana per i Ciechi Regina Margherita, abbiamo creato diciassette Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT), distribuiti su tutto il territorio nazionale.
Ciononostante, l’intenso e prezioso lavoro del Network per l’Inclusione Scolastica (NIS), fortemente voluto all’inizio di quest’anno dal presidente nazionale dell’UICI Mario Barbuto, ha evidenziato come tali CCT siano ancora poco collegati tra di loro e forniscano un servizio di consulenza difforme e disomogeneo. Di qui, la necessità di ottimizzarne le risorse e le competenze, creando appunto il sopramenzionato NIS, con il difficile ma improrogabile compito di definire le Linee Guida dei servizi dei nostri CCT, gli indicatori di qualità dell’inclusione scolastica degli studenti ciechi e ipovedenti e i criteri di valutazione dei servizi erogati dagli stessi CCT.
Un altro imperativo del NIS dell’UICI è quello di cercare di “omogeneizzare” le singole potenzialità dei CCT con tutte le realtà pro ciechi, per dare vita ad un unico sistema, che abbiamo ipotizzato strutturato a più livelli di competenze e territoriali (comprendente a livello regionale e interregionale, oltreché i CCT, anche gli ex Istituti dei Ciechi e ovviamente, in àmbito nazionale, l’IRIFOR, la Biblioteca Regina Margherita, il Centro di Produzione del materiale didattico della Federazione Pro Ciechi e il Centro Nazionale del Libro Parlato dell’UICI).
Naturalmente, questa “rete di servizi” a più livelli – che auspico realizzarsi quanto prima pure per le altre disabilità – non potrà e non dovrà rimanere isolata dal resto dei CTS, i Centri Territoriali di Supporto all’inclusione scolastica, già esistenti e istituiti dal Ministero e, diciamo così, non propriamente riconducibili alle Istituzioni pro ciechi. In tal senso, operare separatamente sarebbe da parte nostra un sesquipedale errore e, con un pizzico di ironia, anche una clamorosa “svista”.
Consapevoli di ciò e ben lungi da atteggiamenti di splendido isolamento, è nostra ferma intenzione fare squadra con tutte le altre Associazioni di e per persone con disabilità, affinché insieme si pretenda dal Ministero la realizzazione all’interno dei CTS e CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione), così come è già avvenuto per l’autismo, di appositi “sportelli” competenti per le singole disabilità. E ciò perché tali strutture periferiche ministeriali del sostegno stentano ancora a decollare, rappresentando a tutt’oggi soltanto delle potenzialità costose e inefficaci per il processo di inclusione scolastica dei nostri ragazzi.
Di recente, l’ultimo, ma non per questo meno rilevante, impegno del Network per l’Inclusione Scolastica dell’UICI sta riguardando la definizione del percorso formativo e del profilo di figure specifiche per l’organizzazione del sostegno al processo di inclusione dei disabili visivi, argomento che coinvolge tra l’altro pure gli alunni non udenti e disabili sensoriali in generale.
Mi riferisco al “Pedagogista esperto in scienze tiflologiche” e all’“Educatore (o assistente) alla comunicazione”, previsto dall’articolo 13, comma 3 della Legge 104/92 e la cui definizione è stabilita dalla Legge 107/15. Infatti, la maggiore facilità dell’assegnazione del docente per il sostegno e il fatto che la nomina del citato assistente alla comunicazione dipenda dagli Enti Locali, essendo pertanto più incerta, ha fatto quasi del tutto dimenticare l’esistenza di tale figura. Per tale motivo, l’assistente alla comunicazione non si è mai imposto come operatore “necessario” per il supporto all’inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità sensoriali, restando sempre confinato ai margini di tale processo, e costretto a una costante precarietà di ruolo e di formazione.
Certi dell’urgenza di dover ovviare a questa grave criticità, come NIS dell’UICI stiamo profondendo le nostre energie nel tentativo di “riesumare” tale figura professionale, definendone il profilo e il percorso formativo. Abbiamo quindi individuato l’ “Educatore alla comunicazione per i disabili sensoriali” come la figura di primo livello del sostegno degli alunni/studenti con disabilità sensoriale.
Il titolo di “Educatore alla comunicazione” viene rilasciato a tutti coloro che, in possesso di qualsiasi laurea triennale, decidano di frequentare un master universitario di primo livello di 1.500 ore, che rilasci loro sessanta Crediti Formativi Universitari. Questa figura possiede una formazione di tipo tecnico-strumentale e ha una conoscenza di base della Pedagogia Speciale e della Didattica Inclusiva. L’IRIFOR sta lavorando alacremente con lo IUSVE (Istituto Universitario Salesiano di Venezia) per l’attivazione (in convenzione) di un corso formativo per “Educatori alla comunicazione per i disabili sensoriali”, che sia di qualità e veramente spendibile nel mondo del lavoro.
Parallelamente alla definizione del profilo e del percorso formativo, invochiamo l’aiuto di tutte le associazioni di e per persone con disabilità, per fare “pressione” sul Ministero, affinché il riconoscimento di questa figura professionale diventi finalmente realtà. Occorre inoltre sollecitare la Conferenza Stato-Regioni, perché queste ultime istituzionalizzino una volta per tutte il profilo dell’“Educatore/assistente alla comunicazione” e, conseguentemente, obblighino le cooperative che gestiscono il servizio di assistenza scolastica e postscolastica ad assumere tali operatori come figure necessarie al processo di inclusione delle persone con disabilità sensoriale. Successivamente, sarà premura dell’IRIFOR proporre agli “Educatori alla comunicazione”, in possesso pure di una Laurea in Scienze della Formazione, Scienze dell’Educazione e in Pedagogia, agli educatori specializzati, e ai docenti curricolari e di sostegno, la frequenza di un master universitario di secondo livello di 1.500 ore, per il conseguimento del titolo di “Pedagogista esperto in scienze tiflologiche”. Un master che rilasci sessanta Crediti Formativi Universitari e fornisca una formazione più specifica di quello di primo livello in “Educatore alla comunicazione”.
Infatti, l’“Esperto in scienze tiflologiche” ha il compito di progettare, realizzare e monitorare l’intero progetto di vita della persona con disabilità visiva e, quindi, è la figura di secondo livello del suo processo di inclusione scolastica. Un primo modello formativo di tale figura è stato già tracciato dall’IRIFOR, che grazie all’interessamento di Marco Condidorio, coordinatore della Commissione Istruzione dell’UICI, ha attivato in convenzione con l’Università del Molise di Campobasso il riuscito master in Typhlology Skilled Educator (“Esperto in scienze tiflologiche”), di cui si può già leggere approfonditamente anche in questo giornale.
Ritengo che queste due tipologie di “educatori” dovrebbero ovviamente poter operare – oltre che a scuola e a casa dei nostri ragazzi – anche nei Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT) di cui parlavo prima, nei “centri di servizio” specializzati nelle singole disabilità e nei Centri Territoriali di Supporto (CTS) e Centri Territoriali per l’Inclusione (CTI), garantendo in tal modo un concreto e adeguato supporto al sistema scolastico.
In conclusione, solo se il Ministero prenderà seriamente in considerazione nella prossima Legge Delega sull’inclusione scolastica l’istituzione di un ruolo definitivo del docente per il sostegno, la riorganizzazione e la ristrutturazione del contesto scolastico, anche con la creazione per ogni tipo di disabilità di “centri di servizio” specializzati, e la formazione e il riconoscimento di figure specifiche “necessarie” al sostegno, potrà garantire il pieno successo scolastico e formativo degli alunni e studenti con disabilità del nostro Paese.