Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e l’inclusione scolastica

«Come garantire – scrive Salvatore Nocera – la prosecuzione e il miglioramento qualitativo del processo inclusivo degli alunni e delle alunne con disabilità, senza che ciò costituisca una remora al rinnovamento radicale della scuola, di cui si parla nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza presentato dal Governo? È questa la sfida da vincere, ancor più necessaria, pensando anche all’impreparazione dimostrata durante la pandemia dalla scuola e dalla società, a far fronte ai nuovi bisogni educativi e alle nuove metodologie didattiche per tutti gli alunni e le alunne»

Alunno in carrozzina in primo piano all'interno di una scuolaHo molto apprezzato l’articolo pubblicato nei giorni scorsi da «Superando.it» (Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e la disabilità), relativo ai riferimenti presenti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentato dal Governo Draghi. In esso venivano riportati alcuni brani significativi riguardanti il riferimento diretto ed esplicito ad interventi riguardanti una specifica attenzione al superamento delle cause di disuguaglianza e all’approntamento di nuove procedure di inclusione, già richieste dalle Associazioni, come espressamente dichiarato in conclusione dal presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) Falabella.
Stimolato allora anche dall’interessante recente volume del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, intitolato Nello specchio della scuola, ho voluto leggere la parte del PNRR concernente le riforme proposte per la Scuola e l’Università.
Si tratta di un densissimo capitolo di circa quindici pagine in cui, dopo il doloroso elenco del divario dell’Italia rispetto ai Paesi dell’Unione Europea e dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), vengono indicati gli obiettivi  di ciascun progetto, i tempi di realizzazione, i soggetti pubblici che hanno la responsabilità di realizzarli e i costi in miliardi; ciò al fine di colmare i paurosi deficit del nostro Paese rispetto agli altri Stati che, nella migliore delle ipotesi, sono circa pari ad un terzo degli altri livelli, ma talora raggiungono anche uno svantaggio di due terzi. Riporto di seguito solo l’elenco dei campi di azione perché se ne comprenda l’importanza epocale.

«Occorre agire lungo tutto il percorso di istruzione: dalla scuola primaria all’università. Da un lato, occorre arricchire la scuola obbligatoria e media superiore con l’insegnamento delle abilità fondamentali e delle conoscenze applicative coerenti con le sfide che la modernità pone. Dall’altro, occorre consentire ai percorsi universitari una maggiore flessibilità e permettere la specializzazione degli studenti in modo più graduale.
La Missione “Istruzione e ricerca” si basa su una strategia che poggia sui seguenti assi portanti:
– Miglioramento qualitativo e ampliamento quantitativo dei servizi di istruzione e formazione.
– Miglioramento dei processi di reclutamento e di formazione degli insegnanti.
– Ampliamento delle competenze e potenziamento delle infrastrutture scolastiche.
– Riforma e ampliamento dei dottorati.
– Rafforzamento della ricerca e diffusione di modelli innovativi per la ricerca di base e applicata condotta in sinergia tra università e imprese.
– Sostegno ai processi di innovazione e trasferimento tecnologico° Potenziamento delle condizioni di supporto alla ricerca e all’innovazione.
A loro volta, tali obiettivi sono articolati in due componenti:
° “Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido all’Università”: la componente mira a realizzare gli investimenti materiali ed immateriali necessari a colmare o a ridurre in misura significativa in tutti i gradi di istruzione le carenze strutturali sopra descritte, anche grazie all’utilizzo delle risorse già destinate al comparto istruzione che si libereranno come conseguenza della denatalità nell’arco dei prossimi anni. A questo fine, la componente punta al rafforzamento dell’offerta formativa, anche sulla base del miglioramento delle competenze del corpo docente, a partire dal sistema di reclutamento e dai meccanismi di formazione in servizio di tutto il personale scolastico. La componente, infine, persegue l’obiettivo di rafforzare le infrastrutture e gli strumenti tecnologici a disposizione della didattica, nonché a sostenere e ad ampliare i dottorati di ricerca
° “Dalla ricerca all’impresa”: la componente mira ad innalzare il potenziale di crescita del sistema economico, favorendo la transizione verso un modello di sviluppo fondato sulla conoscenza, conferendo carattere di resilienza e sostenibilità alla crescita. Le ricadute attese della componente si sostanziano in un significativo aumento del volume della spesa in R&S e in un più efficace livello di collaborazione tra la ricerca pubblica e il mondo imprenditoriale Per accompagnare queste azioni sarà fondamentale un’attenzione specifica alle disparità regionali, e riqualificare la forza lavoro per farla attivamente contribuire all’attuazione delle transizioni ecologica e digitale» (pp. 176-177).

Quello che mi ha colpito è l’assoluta necessità di condivisione di tale “missione” di riforma radicale per il passaggio ad una scuola profondamente rinnovata, non solo nell’edilizia, non solo nei programmi di studio, non solo nel superamento della visione didattica “ottocentesca” di tipo individualistico, che non educa al lavoro apprenditivo e operativo di gruppo, ma che deve anche essere proiettata verso una comunità economica e sociale del futuro (che è domani), ciò che necessita della digitalizzazione come mezzo ordinario e quotidiano di insegnamento, dell’orientamento delle scuole superiori verso una proiezione e collaborazione col mondo produttivo, di un maggiore potenziamento  degli istituti tecnici professionali superiori e delle università verso nuovi saperi e nuove professioni, di cui siamo oggi pericolosamente carenti.
Tutto ciò dovrà assicurarci di colmare in pochi anni il divario culturale nelle nuove tecnologie, nell’àmbito professionale e nella ricerca che ci separa da tanti Paesi molto più competitivi di noi nel mondo e quindi con indici di incremento dei redditi individuali e nazionali assai più alti dei nostri.

Di fronte a questi indiscutibili attuali nostri svantaggi e alla necessità di raggiungere livelli apprenditivi che ci permettano di tornare a competere economicamente a livello mondiale, mi sono posto il problema di come i riferimenti  relativi agli interventi per migliorare l’inclusione sociale delle persone con disabilità siano riferibili anche al mondo della scuola. Infatti, in tutte le quindici pagine dedicate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza alla scuola, non ci sono riferimenti espliciti significativi agli alunni e alle alunne con disabilità. Ne si può pensare di scrivere, eventualmente, un paragrafetto concernente questo aspetto, se è vero che gli alunni e le alunne con disabilità non sono più un settore a sé stante, come avveniva nelle “scuole speciali” che ne hanno assicurato l’educazione e l’istruzione sino agli anni Sessanta del secolo scorso.
Sono infatti passati ormai cinquant’anni – o mezzo secolo che dir si voglia – da quella Legge 118/71 che con una breve norma di poche righe, contenuta nell’articolo 28, avviava timidamente il processo di “inserimento-integrazione-inclusione”. Oggi, quindi, gli alunni e le alunne con disabilità, pur rappresentando circa il 3,05% di tutta la popolazione scolastica, sono presenti in quasi tutte le nostre scuole. Si pone pertanto il problema di come garantire la prosecuzione e il miglioramento qualitativo del processo inclusivo, senza che ciò possa costituire una remora al rinnovamento radicale della scuola e un regresso nei livelli qualitativi e quantitativi inclusivi raggiunti.

Purtroppo la pandemia ha impietosamente messo a nudo non solo l’impreparazione della scuola e della società, specie di quella urbana, a far fronte ai nuovi bisogni educativi e alle nuove metodologie didattiche per tutti gli alunni e le alunne, ma ancor più drammaticamente ha determinato l’emarginazione e la discriminazione, involontaria, degli alunni e delle alunne con disabilità, specie intellettive e relazionali, di far fronte ai modi nuovi di “fare scuola”. Urge dunque la necessità di una riflessione del mondo universitario, della scuola attiva, del contesto sociale, sia pubblico (Enti Locali) che privato (Volontariato e Terzo Settore), affinché il processo inclusivo sappia continuare a progredire qualitativamente anche nella nuova scuola.
È questa la sfida che il nuovo millennio impone alla scuola attiva, così come la impose alla fine degli Anni Sessanta ai docenti, alle famiglie e all’università di allora, che erano del tutto impreparate al modo nuovo di educare e istruire gli alunni e le alunne con disabilità insieme ai coetanei senza disabilità.
Sono certo che le Associazioni, specie quelle aderenti alla FISH, in dialogo con i docenti, con l’università, con le organizzazioni sindacali e con il mondo della formazione professionale, saprà affrontare con umiltà, ma con determinazione questa sfida. Allora al lavoro!

FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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