Livelli Essenziali di Assistenza: dieci anni di disuguaglianze regionali

Prendendo in esame il decennio 2020-2019, la Fondazione GIMBE ha pubblicato un rapporto che analizza i risultati dei monitoraggi annuali del Ministero della Salute relativi all’erogazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria) da parte delle Regioni, fotografando la notevole disuguaglianza esistente tra esse. «Tali disuguaglianze – puntualizzano tuttavia da GIMBE – non dipendono solo dalle capacità di erogazione delle Regioni, ma affondano nell’impianto istituzionale di aggiornamento e verifica dei LEA, che richiede una profonda revisione di responsabilità, metodi e strumenti»

"Scomposizione" delle Regioni d'Italia

Una realizzazione grafica che “scompone” le varie Regioni d’Italia, forografando bene le disuguaglianze presenti in àmbito di prestazioni sanitarie da garantire ai cittadini e alle cittadine

Nelle scorse settimane la Fondazione GIMBE ha pubblicato il rapporto di ricerca denominato Livelli Essenziali di Assistenza: le diseguaglianze regionali in Sanità, nel quale ha analizzato i risultati dei monitoraggi annuali del Ministero della Salute relativi all’erogazione delle prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire ai/alle cittadini/e gratuitamente o attraverso il pagamento di un ticket.
Il rapporto, che è disponibile a questo link, prende in esame il decennio 2010-2019 ed è stato realizzato attraverso la cosiddetta “Griglia LEA”, uno strumento che consiste nell’attribuire alle Regioni un punteggio e permette di distinguere tra quelle adempienti, e dunque meritevoli di accedere alla quota di finanziamento premiale, e inadempienti, che verranno sottoposte a Piani di Rientro. Non sono sottoposte alla verifica degli adempimenti il Friuli Venezia-Giulia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e le Province Autonome di Trento e di Bolzano.

L’analisi dei risultati ha consentito dunque di stilare una sorta di graduatoria per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, che vede in testa l’Emilia-Romagna con il 93,4% di adempimenti, e in coda la Sardegna con il 56,3% (Regione che però è esclusa dal monitoraggio LEA).
Oltre all’Emilia-Romagna, si collocano ai primi posti anche la Toscana (91,3%), il Veneto (89,1%), il Piemonte (87,6%), la Lombardia (87,4%), l’Umbria (85,9%), le Marche (84,1%), la Liguria (82,8%), il Friuli Venezia-Giulia (81,5%) e la Provincia Autonoma di Trento (78,8%). Insomma, solo Regioni del Nord e del Centro, ma nessuna Regione del Sud.
Si collocano invece nella parte bassa l’Abruzzo (76.6%), la Basilicata (76.4%), il Lazio (75.1%), la Sicilia (69.6), il Molise (68%), la Puglia (67,5%), la Valle d’Aosta (63,8%), la Calabria (59,9%), la Campania (58,2%), la Provincia Autonoma di Bolzano (57,6%) e, come già accennato, la Sardegna.
Nel decennio 2010-2019 la percentuale cumulativa totale di adempimento delle Regioni è stata del 75,7%, con un intervallo tra Regioni pari a 56,3%-93,4%.

Il Rapporto affronta le criticità relative all’aggiornamento, all’esigibilità e al monitoraggio dei LEA. Innanzitutto non si è mai concretizzato il loro aggiornamento continuo, per mantenere allineate le prestazioni all’evoluzione delle conoscenze scientifiche.
In secondo luogo, le nuove prestazioni di specialistica ambulatoriale e protesica non sono esigibili su tutto il territorio nazionale, perché il cosiddetto “Decreto Tariffe” non è mai stato approvato per carenza di risorse economiche.
E infine, il Nuovo Sistema di Garanzia, ossia la “pagella” con cui lo Stato darà i “voti” alle Regioni, non è affatto uno specchio fedele per valutare la qualità dell’assistenza. «A quasi sei anni dal Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 12 gennaio 2017 che ha istituito i “nuovi LEA”– ha voluto infatti puntualizzare Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione GIMBE – le disuguaglianze regionali, in termini di esigibilità di prestazioni e servizi a carico del Servizio Sanitario, non dipendono solo dalle capacità di erogazione delle Regioni, ma affondano nell’impianto istituzionale di aggiornamento e verifica dei LEA. Un impianto che richiede una profonda revisione di responsabilità, metodi e strumenti, perché l’esigibilità di servizi e prestazioni sanitarie in tutto il territorio nazionale non rimanga solo sulla carta».

Se da un lato, quindi, non è possibile affermare che esista un piano occulto di smantellamento e privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, osservano da GIMBE, dall’altro lato manca un esplicito programma politico per il salvataggio di esso.
Al fine di orientare le decisioni politiche nella nuova Legislatura, il Rapporto contiene «un piano – spiega ancora Cartabellotta – finalizzato non a una manutenzione ordinaria per una stentata sopravvivenza del Servizio Sanitario Nazionale, ma per l’attuazione di riforme e innovazioni di rottura che portino al rilancio definitivo di un pilastro fondante della nostra democrazia».

«A fronte di criticità globali quali crisi economica ed energetica, cambiamenti climatici e pandemia – conclude il Presidente di GIMBE – la politica deve saper cogliere le grandi opportunità per rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale: fine, dunque, della stagione dei tagli alla Sanità, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, transizione digitale, approccio One Health, il tutto ai fini di un rilancio che il nostro Paese merita e che, con la collaborazione di tutti i portatori d’interesse, è in grado di realizzare, per garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone. Un diritto fondamentale che, silenziosamente, si sta trasformando in un privilegio per pochi, lasciando indietro le persone più fragili e svantaggiate. Perché se la Costituzione tutela la salute di tutti, la sanità deve essere per tutti». (Simona Lancioni)

Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti e integrazioni dovuti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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