Anche l’apposita classe di concorso per il sostegno è una proposta innovativa!

«Anche l’apposita classe di concorso per il sostegno è una proposta innovativa – scrive Salvatore Nocera, con riferimento a un contributo di Paola Di Michele da noi recentemente pubblicato – è una proposta innovativa, ma essa sarà seriamente realizzabile solo a condizione di una seria formazione di tutti i docenti curricolari, evitando in tal modo la delega e l’attuale perniciosa discontinuità didattica del sostegno, sia per i docenti di ruolo che per i supplenti»

Alunno con disabilità di spalle che alza la manoLeggo in «Superando.it» l’interessante contributo dell’amica Paola Di Michele [Tenere tutti insieme il filo rosso dell’inclusione, N.d.R.] che definisce come «proposta innovativa», quella di istituire la cosiddetta “cattedra mista”, fortemente sponsorizzata nell’importante e tradizionale convegno di Rimini La Qualità dell’inclusione scolastica e sociale, promosso dal Centro Studi Erickson, di cui è cofondatore e animatore l’amico professor Dario Ianes.
Ho molto apprezzato, nel testo di Di Michele, le fondate accuse al degrado dell’inclusione scolastica, come essa si sta realizzando specie negli untimi quindici anni circa, a causa della mancata formazione dei docenti e della mancata collegialità di quanti dovrebbero operare appunto «collegialmente nel GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione). E condivido appieno la denuncia della crescente delega al solo docente di sostegno del progetto inclusivo di cui, per legge, dovrebbe farsi carico tutto il Consiglio di Classe; pavento pure io, infatti, il rischio della deriva verso forme di neoistituzionalizzazione in organigrammi operativi improntati più alla vecchia idea delle “scuole speciali” che alla nuova cultura inclusiva.

E tuttavia, l’idea che la “cattedra mista” sia una proposta innovativa non mi va giù. Essa, infatti, è una rivisitazione dell’originaria geniale idea di Dario Ianes di sostituire i docenti di sostegno, spesso trattati come “protesi umana” degli alunni e delle alunne con disabilità, mandandoli tutti come docenti di potenziamento nelle proprie classi, con gruppi di esperti itineranti per le scuole di una rete costituita nell’àmbito del distretto scolastico.
Anche se la “cattedra mista” è stata denominata “cattedra inclusiva” – come se il lavoro fatto in questi oltre cinquant’anni non fosse stato per nulla inclusivo –  essa è una variante di quella innovativa idea di Ianes; solo che qui si manterrebbe solo per metà la cattedra di sostegno, affidandola agli stessi docenti curricolari.
Quell’idea di Dario Ianes è risultata purtroppo puramente teorica, data l’impossibilità di formare seriamente tutti i docenti curricolari, che sarebbero stati affiancati settimanalmente da esperti itineranti. Infatti, se i numerosi Ministri dell’Istruzione che si sono susseguiti non sono riusciti a formare seriamente neppure tutti i circa 200.000 docenti di sostegno (un terzo, oltre 60.000 non è specializzato), come è pensabile che riesca a specializzare tutti i restanti oltre 650.000 docenti curricolari?
Più realisticamente, dunque, si è pensato di spostarsi su un’altra ipotesi, quella appunto della cattedra mista, ma il problema rimane insoluto: infatti tutti i docenti curricolari debbono essere specializzati, dovendo svolgere professionalmente anche l’attività di sostegno. Il carissimo amico che ha predisposto l’apposita Proposta di Legge ha pensato ad un piano quinquennale di formazione per tutti i docenti curricolari; ma temo che finisca come i “famosi” piani quinquennali dell’Unione Sovietica che l’hanno mandata in fallimento!

Invero quella della specializzazione di tutti i docenti curricolari era già stata affrontata due secoli fa dagli ideatori delle scuole speciali. Tutti i docenti delle stesse, per divenire di ruolo dovevano essere infatti specializzati, ciascuno per la peculiare risposta didattica ai bisogni specifici educativi derivanti dalle diverse minorazioni. Però, come ho potuto constatare quando andavo per conto del Ministero dell’Istruzione a presiedere le commissioni dei corsi di specializzazione per gli esami di diploma, non sempre tutti i docenti di tali scuole erano specializzati.
Ora, l’apposita classe di concorso per il sostegno non è uno dei tanti «aggiustamenti» che si sono succeduti in questi decenni, come l’aumento a dieci anni di permanenza sul posto di sostegno, senza però curare la continuità didattica con lo stesso alunno, ma solo con una collocazione burocratica su cattedra di sostegno, ovunque essa fosse. L’apposita classe di concorso, una per ogni grado di istruzione, dev’essere infatti contemporaneamente affiancata (pena il fallimento) alla formazione iniziale (non specializzazione) di tutti i docenti curricolari sull’inclusione scolastica, in modo tale da consentire effettivamente la presa in carico del progetto inclusivo da parte di ogni docente della classe, evitando la famigerata e ahimè attualmente dilagante delega ai soli docenti di sostegno.

Questa vera innovazione era stata introdotta dalla Legge 79/22 del precedente Governo, che ragionevolmente è stata recepita dall’attuale Esecutivo. Però, come ha denunciato seriamente il professor Luigi d’Alonzo dell’Università Cattolica di Milano e già presidente della SIPeS (Società Italiana di Pedagogia Speciale), su 60 Crediti Formativi Universitari di cui si compone l’anno abilitante obbligatorio dopo la laurea, per far sì che i futuri docenti curricolari imparino a trattare anche l’inclusione scolastica, solo 3 riguardano la pedagogia e la didattica.
Il professor d’Alonzo ha scritto e parlato affinché i 3 crediti divenissero 20, mentre noi, come FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che condividiamo pienamente le sue posizioni, ci accontenteremmo almeno di 15 crediti formativi obbligatori; Sino ad ora, però, il Governo non ha dato ascolto alle nostre richieste. Pertanto, se definitivamente passerà questa posizione politica, la situazione rimarrà immutata; infatti i docenti curricolari, privi di un minimo di formazione sull’inclusione scolastica, continueranno a delegare ai docenti di sostegno e siccome questi ultimi non possono essere assegnati ad un singolo alunno per tutte le ore di lezione, quando essi mancano, gli insegnanti curricolari continueranno a disinteressarsi di questi loro alunni; dal canto loro, i genitori, visto lo stato di abbandono dei propri figli con disabilità, continueranno sempre più a promuovere ricorsi per discriminazione, ai sensi della Legge 67/06, con crescita del contenzioso e danni per l’Erario, poiché in genere l’Amministrazione Scolastica risulta perdente in tutte le cause di questo tipo.

Anche l’aggiornamento obbligatorio in servizio sull’inclusione scolastica, reso tale per tutti con l’articolo 13 del Decreto Legislativo 66/17, è rimasto inapplicato con ulteriore inciampo alla “coralità” della presa in carico dell’inclusione scolastica.
Forse adesso, dopo l’approvazione del nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro di quest’anno, le cose potrebbero seriamente cambiare; in esso, infatti, si prevede all’articolo 44 che le riunioni dei GLO si debbano svolgere nell’ambito delle 80 ore di insegnamento, non di lezione. Ciò potrebbe far sì, ad esempio, che all’inizio dell’anno scolastico, prima che incomincino le lezioni, dal 1° al 15 settembre si riuniscano dei GLO per leggere singolarmente la Diagnosi Funzionale e il Profilo Dinamico Funzionale dei singoli alunni e alunne con disabilità e quindi esaminare il PEI (Piano Educativo Individualizzato) “definitivo”, da approvarsi entro il 31 ottobre, avendo un minimo di informazione e formazione dai docenti di sostegno e da altri  esperti anche universitari, come avveniva nei primi anni “gloriosi” dell’integrazione scolastica dopo il Sessantotto.
In sostanza, solo se ci sarà una seria formazione (ribadisco, non specializzazione) di tutti i docenti curricolari, l’apposita classe di concorso per il sostegno sarà seriamente realizzabile, evitandosi così la delega e l’attuale perniciosa discontinuità didattica del sostegno, sia per i docenti di ruolo che per i supplenti.
Sarà inoltre necessario riformulare pure l’organizzazione e i contenuti dei corsi di specializzazione per il sostegno. È paradossale, infatti, che quando essi, prima del 1986, erano “monovalenti” (cioè validi per rispondere ai bisogni educativi derivanti da una specifica minorazione) durassero due anni, mentre dopo il 1986, quando divennero “polivalenti” e quindi teoricamente rispondenti a i differenti bisogni educativi di tutti gli alunni con le diverse minorazioni, si siano ridotti ad un solo anno.
E c’è di peggio: non si riesce a capire come mai i vari Ministeri, specie negli ultimi anni, autorizzino alcuni corsi di specializzazione – solo “da Roma in giù” per 3.000 e oltre allievi -, mentre, molto più correttamente le Università del Nord chiedono e ottengono corsi al massimo per 300 o 350 allievi. Con quale serietà ci si formerà in quei “corsi pollaio”?
Il professor d’Alonzo e la FISH che, come detto, ne condivide le idee, ha proposto che anche le Facoltà di Scienze dell’Educazione, come tutte le altre facoltà, abbiano delle “scuole di specializzazione” per il sostegno, in modo che siano esse a decidere, secondo le proprie forze e gli effettivi bisogni del territorio, quanti debbano essere al massimo i partecipanti, con una vera serietà di tali corsi.

Tutte queste, dunque, sono, a parere di schi scrive, le condizioni “necessarie e sufficienti” (come si usa dire in matematica) per una seria attuazione dell’apposita classe di concorso. Essa favorirebbe finalmente una vera scelta professionale sul sostegno, come avviene per tutte le discipline curricolari. In prima applicazione verrebbe offerta agli attuali docenti che occupano, in quanto “utilizzati”, i posti di sostegno; poi riguarderà tutti quelli che vorranno svolgere questa professione. E non sarà, come affermano i detrattori, una “condanna a vita” su posto di sostegno, poiché essi potranno avvalersi dell’istituto della “mobilità professionale”, cioè un concorso riservato per titoli che permette di passare su un’altra cattedra di cui si abbiano i requisiti.
La nostra proposta è quindi di un apposito corso di laurea triennale in Scienze dell’Educazione, seguito da un biennio di specializzazione, che comprenda la Pedagogia Speciale e le Didattiche Speciali, per rispondere ai bisogni derivanti dalle prevalenti minorazioni, ossia tiflologia per la cecità; LIS-Lingua dei Segni Italiana per i sordi segnanti; lettura labiale e comunicazione orale per i sordi oralisti; lettura facile e CAA-Comunicazione Aumentativa Alternativa per la disabilità intellettiva; metodo ABA-Analisi Applicata del Comportamento per gli alunni con  disturbi del neurosviluppo; modalità di autonomia apprenditiva per alunni con disabilità motorie o difficoltà del linguaggio. Ovviamente, chi voglia poi passare su cattedra curricolare, avendo già la laurea in Scienze dell’Educazione, con un biennio prenderà la laurea magistrale e potrà lasciare la cattedra di sostegno.
Tutto ciò permetterebbe una seria valutazione della qualità inclusiva realizzata nelle singole scuole e nel sistema d’istruzione.
In realtà il quarto articolo del citato Decreto Legislativo 66/17 (Valutazione della qualità dell’inclusione scolastica) è stato sì attuato, ma “all’italiana”; annualmente, infatti, le scuole debbono compilare un DAV (Documento di AutoValutazione), ovvero un questionario predisposto dall’INVALSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione), relativo appunto alla qualità realizzata per l’inclusione.
Ebbene, in esso vi sono quesiti realmente risibili del tipo «Realizzate l’inclusione nella Vostra scuola?». E chi potrebbe rispondere “No”, dal momento che ormai i nostri alunni e alunne con disabilità sono presenti ovunque? Altra domanda: «È un’inclusione di qualità?». E anche qui chi risponderebbe “no”? Queste ed altre risposte vengono poi condensate nel RAV (Rapporto di AutoValutazione) che il Ministero pubblica annualmente, secondo il quale «tutto va bene, madama la marchesa!». E invece le cose non vanno affatto bene, come ha dimostrato il professor Ianes con la ricerca illustrata al convegno di Rimini.
Se vogliamo quindi avere un rapporto serio, è necessario che vi sia pure la valutazione delle famiglie e di un soggetto terzo, come l’INVALSI o l’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione Innovazione e Ricerca Educativa) e che le domande del DAV siano ben più analitiche: ad esempio, «La classe rispetta il tetto massimo di 20, massimo 22 alunni per classe, di cui al DPR 81/09?»; «In classe c’è un docente specializzato?»; «I docenti curricolari hanno effettuato almeno un corso di aggiornamento sulle didattiche inclusive relative all’alunno attualmente presente in classe?»; «Ci sono sufficienti ausili, sussidi e strumenti tecnologici idonei a compensare i deficit degli alunni?»; «Gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione sono competenti per i casi da loro seguiti e quali titoli di studio posseggono?»; «C’è continuità didattica con lo stesso alunno dei docenti di sostegno. come stabilito dall’articolo 1, comma 181, lettera c, n. 2 della Legge 107/15 e dall’articolo 14 del Decreto Legislativo 66/17?»; «C’è continuità educativa per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione?». Su quest’ultimo aspetto segnalo l’interessantissima recente pubblicazione di Paola Di Michele, intitolata L’assistenza educativa per l’autonomia e la comunicazione degli alunni con disabilità, pubblicata da Erickson, della quale ho avuto l’onore di scrivere la prefazione [ripresa integralmente anche sulle  nostre pagine, N.d.R.].
Tornando ai DAV e ai RAB, senza quanto tutto detto, essi, almeno per l’inclusione scolastica, diventano una vera e propria “burletta!”.

Tutto ciò dovrebbe essere stato discusso negli ultimi anni dall’Osservatorio Permanente sull’Inclusione del Ministero dell’Istruzione, ma nessuno sino ad oggi se n’è occupato seriamente. Il nuovo Ministero dell’Istruzione e del Merito aveva promesso a fine luglio che avrebbe costituito dei tavoli tematici per affrontare entro fine anno tutti questi e altri problemi, ma ancora tutto tace e le solite malelingue biascicano che questo Osservatorio avrà la stessa sorte dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, operante presso il Ministero per le Disabilità, che dopo tre anni di lavoro è stato sostituito da uno nuovo che ricomincia tutto daccapo… Accadrà lo stesso con l’Osservatorio del Ministero dell’Istruzione e del Merito, dal momento che da fine luglio non se ne sa più nulla?…

Sicuramente tra i gravi problemi concernenti la qualità della vita delle persone con disabilità, anche di tutto ciò si parlerà con la massima competenza e libertà, insieme a ciò che riguarda gli emanandi Decreti Applicativi della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità, durante gli Stati Generali dei Quadri della FISH, in programma a Roma il 25 e 26 novembre.

Presidente del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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