“Gruppi di livello”: un passo avanti o un passo indietro?

«Come possono stare insieme – scrive Lorenza Vettor, a proposito di una recente Nota Ministeriale in cui si parla di “gruppi di livello” nelle classi di scuola – i princìpi della solidarietà, del rispetto delle differenze e delle diversità, tanto cari al nostro sistema di inclusione, con quelli della competizione a tutti i costi e della divisione della classe in bravi e meno bravi, che implicitamente leggo in quella disposizione del Ministero?»

Alunna con disabilità in aula affollataLeggo con una certa preoccupazione quanto scritto nella Nota Protocollo n. 2805, prodotta l’11 dicembre scorso dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, avente ad oggetto gli Orientamenti per l’elaborazione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa, laddove include fra di essi «la programmazione plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo, anche mediante l’articolazione del gruppo classe» e «in particolare l’adozione di modalità che prevedano di poter lavorare su classi aperte e gruppi di livello [grassetto nostro nella citazione, N.d.R.]».
Qui, infatti, mi vien da pensare alle classi differenziali, che tutto furono fuorché integrazione. Né mi basta leggere, nel prosieguo della Nota, il rimando a tecniche quali l’apprendimento «peer-to-peer (gruppi di lavoro con tutoraggio “interno” esercitato dagli studenti stessi» e la «didattica fondata sull’apprendimento cooperativo».

Come sarà possibile, se la classe viene divisa in “gruppi di livello”, che chi è più avvantaggiato in una disciplina aiuti chi è più indietro in quella stessa disciplina? E formulando la domanda con riguardo agli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, mi chiedo: come può coesistere siffatta modalità con una vera ed efficace integrazione? Come possono stare insieme i princìpi della solidarietà, del rispetto delle differenze e delle diversità, tanto cari al nostro sistema di inclusione, con quelli della competizione a tutti i costi e della divisione della classe in bravi e meno bravi, che implicitamente leggo nella disposizione del Ministero?
La mia esperienza, per altro, mi porta a concludere che quelli che a tutta prima possono apparire elementi di criticità – come appunto la presenza di un compagno con disabilità – sono invece fattori di crescita per tutti gli alunni singolarmente e per l’intera classe nel suo complesso.

Spero di non sbagliarmi leggendo in questa Nota Ministeriale un serio pericolo per quell’integrazione di ogni alunno nella scuola di tutti e di ciascuno per la quale tanti insegnanti (curricolari e per il sostegno), famiglie, operatori, associazioni lavorano ogni giorno.

Consigliera della FISH Friuli Venezia Giulia (Federazione Italiana per il Superamento dell‘Handicap).

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo