Rilanciare subito la cultura e soprattutto la prassi dell’inclusione scolastica

«Per oltre quarant’anni – scrive Salvatore Nocera – ci siamo, Associazioni e Amministrazione Scolastica, impegnati a “sfornare” norme sempre più inclusive, confermate e rafforzate dalla Magistratura; ma non ci siamo preoccupati con la stessa solerzia di attivarci perché tali norme venissero correttamente applicate in funzione di una migliore qualità di fatto dell’inclusione dei singoli alunni ovunque, nei grandi come nei piccoli centri. È dunque giunta l’ora di metterci tutti insieme al lavoro in tal senso»

Bimbo alla lavagna con aria corrucciataHo apprezzato moltissimo i due articoli pubblicati a distanza di una settimana da «Superando.it» sulla mancata attuazione pratica della nostra cultura inclusiva, rispettivamente firmati da Luciano Paschetta (Inclusione scolastica: storia di un “modello mai nato”, 14 novembre), e da Vincenzo Zoccano e Gianluca Rapisarda (Insieme alle Società Pedagogiche, per migliorare l’inclusione, 21 novembre).
Paschetta, prendendo spunto da un appello lanciato da Dario Ianes, per la realizzazione della prescritta flessibilità dell’organizzazione delle classi e del tempo-scuola, emette un giudizio negativo molto documentato sul cosiddetto “sistema duale” che la stessa normativa ha realizzato in Italia fin dalle origini. Egli dimostra infatti che tutte le norme sino ad oggi emanate sono rivolte a garantire separatamente una serie di diritti agli alunni con disabilità, senza però nulla dire sui cambiamenti radicali che dovrebbero contemporaneamente interessare la normale vita quotidiana delle classi.
La riprova sta in quanto già denunciato qualche anno fa da Ianes in una ricerca svolta con altri docenti e pubblicata dall’Università di Bolzano, circa il fatto che, mano a mano che si sale nei gradi della scuola, gli alunni con disabilità trascorrono sempre meno ore settimanali in classe, venendo portati (e talora espulsi) dalla loro classe nella cosiddetta “aula di sostegno” o in “laboratori speciali”, a svolgere “progetti sperimentali” di separazione dal lavoro dei compagni.
Dal canto loro, Zoccano e Rapisarda denunciano ulteriori carenze dell’attuale formazione dei docenti specializzati e curricolari, che contribuiscono all’isolamento degli alunni con disabilità, favorendo, specie nelle scuole superiori, la cosiddetta “coppia anti-inclusiva” costituita dall’alunno col solo docente per il sostegno, più volte e anche duramente denunciata dal sottoscritto.

La situazione è assai grave, né giova dire che comunque in molte realtà l’inclusione è stata praticamente realizzata. Infatti, a fronte di numerosi casi di inclusione riuscita – di cui però il Ministero dell’Istruzione non offre alcun dato statistico – ci sono molti, troppi, casi di inclusione fallita, che solo in qualche ipotesi può considerarsi come “integrazione” (adeguamento dell’alunno con disabilità all’organizzazione della scuola che rimane immobile) o al massimo come mero “inserimento” ( presenza in classe dell’alunno abbandonato a se stesso, senza un progetto didattico condiviso dai docenti).
Apprezzo quindi queste denunce e ritengo che in occasione dell’attuazione dei recenti Decreti Delegati della Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola), il Ministero, e con esso il neoricostituito Osservatorio Scolastico Ministeriale, debbano prenderle in seria considerazione e porvi rimedio.
Il rimedio, ovviamente, non potrà consistere nell’emanazione di nuove norme inclusive, dal momento che, come è stato dimostrato, l’assoluta mancanza di vigilanza sull’effettiva attuazione di esse le rende inefficaci, a causa di una  mancata riforma della mentalità culturale e organizzativa del “fare scuola”.
Infatti, il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) 275/99 sull’autonomia scolastica aveva posto le premesse perché l’organizzazione scolastica potesse passare dalle tradizionali lezioni frontali (all’interno di classi immodificabili), a classi aperte, suddivisibili in “gruppi classi” e in tempi-scuola diversi e variabili rispetto all’orario fisso settimanale. Ma di ciò nulla è avvenuto.

In realtà, le Linee Guida Ministeriali sull’inclusione scolastica del 4 agosto 2009 avevano vietato la formazione di gruppi di soli alunni con disabilità e la “deportazione” degli stessi dalla propria classe e dai propri compagni. Ma con le “sperimentazioni fasulle” e con i “progetti speciali”, tali pratiche illegittime sono proseguite indisturbate.
La Legge 128/13 ha abolito le quattro aree disciplinari per la nomina del sostegno nelle scuole secondarie, proprio per evitare la delega a quattro docenti ciascuno per un’area che, di fatto, creava una sorta di “classetta speciale”, separando l’alunno dai compagni e dai docenti curricolari; ma poco o nulla è cambiato, anzi è invalsa la prassi di spaccare una cattedra di sostegno in due spezzoni, assegnati a due docenti diversi, per risparmiare sulle supplenze, creando così una grande confusione nella mente degli alunni e specie di quelli con disabilità intellettive e relazionali.
E ancora, in quasi tutte le classi, nessun docente presenta il compagno con disabilità all’inizio dell’anno scolastico, aiutando gli altri alunni ad instaurare rapporti di socializzazione e relazionali con lui, come prescrive l’articolo 12, comma 3 della Legge Quadro 104/92.
In sostanza, sono pochissime le scuole – e quasi tutte dell’infanzia o della primaria – che impostano la programmazione del lavoro quotidiano della classe in un’effettiva logica inclusiva.
Pertanto, se non cambia la mentalità organizzativa delle scuole, come sarà possibile, a partire dal 2019, realizzare i Profili di Funzionamento introdotti dall’articolo 5 del Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione, che si fonda proprio sul «contesto favorevole, a livello culturale, organizzativo e programmatorio», da realizzare nelle singole classi e nelle singole scuole?
Se si realizzassero davvero classi aperte scomponibili in piccoli gruppi e riaggregantesi per temi di lavoro, si potrebbe anche fare a meno di taluni paletti formali, come il tetto massimo di 20 alunni per classe, purché applicati nei singoli gruppi di lavoro misti, voluti proprio per favorire, grazie ai piccoli numeri, una maggiore effettiva inclusione tra alunni con e senza disabilità.

Occorre dunque una seria presa di coscienza culturale e politica circa quanto sta avvenendo, se non altro perché l’inserimento e l’integrazione, come abbiamo cercato di realizzarli in Italia, costano svariati miliardi di euro e questi stanno riducendosi di anno in anno, aggiungendo danno a danno.
Non concordo per altro con Luciano Paschetta, quando dice che il PAI (Piano Annuale per l’Inclusione) è un percorso parallelo rispetto al PTOF (Piano Triennale dell’Offerta Formativa); infatti, il già citato Decreto Delegato 66/17 precisa all’articolo 8 che «il PAI è parte integrante del PTOF» e successivamente, all’articolo 9, che i GLI (Gruppi di Lavoro per l’Inclusione), operanti in tutte le scuole, dovranno lavorare con la presenza indispensabile delle famiglie e dei compagni di classe per la predisposizione e l’attuazione concreta dei PAI.

A questo punto sembra urgente raccogliere tutte le esperienze positive di buona inclusione, per diffonderle e contribuire così a far crescere effettivamente la cultura  e la prassi inclusiva. Tanto più che ormai, con l’articolo 4 del Decreto 66/17, tutte le scuole che accolgono alunni con disabilità dovranno obbligatoriamente rispondere ai quesiti formulati dall’INVALSI [Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione, N.d.R.] sulla rilevazione degli indicatori di qualità attuata nelle singole classi e nelle singole scuole.
È tutto un mondo nuovo che dovrebbe rivoluzionare la prassi quotidiana della scuola, ma senza una formazione generalizzata di tutto il personale della scuola, basata non su teorie, ma sulle buone prassi realizzate e da realizzare, non si compirà alcun cambiamento culturale, anche se voluto da norme illuminate, ma disapplicate tra l’indifferenza dei diversi livelli dirigenziali dell’Amministrazione Scolastica.
E allora, che cosa attende il Ministero dell’Istruzione a predisporre un piano pluriennale serio di aggiornamento obbligatorio in servizio di tutto il personale scolastico, a partire dai Dirigenti Scolastici, per cominciare seriamente a far riflettere e formare i docenti sulla necessità di modificare l’organizzazione quotidiana della scuola, rendendola veramente a misura di tutti gli alunni, a partire dai più deboli?
Per oltre quarant’anni, ci siamo – Associazioni e Amministrazione Scolastica – impegnati a “sfornare” norme sempre più inclusive, confermate e rafforzate dalla Magistratura; ma non ci siamo preoccupati con la stessa solerzia di attivarci perché tali norme venissero correttamente applicate in funzione di una migliore qualità di fatto dell’inclusione dei singoli alunni ovunque nei grandi come nei piccoli centri.
È dunque giunta l’ora di metterci tutti insieme al lavoro in tal senso. L’attuazione dei Decreti Delegati attuativi della Legge 107/15 può e deve offrircene l’occasione. E vedremo quale sarà “l’aria che tira”, a partire dalla prossima riunione dell’Osservatorio Scolastico Ministeriale, fissata per il 27 novembre.

In conclusione, dobbiamo evitare la sorte del Programma di Azione Biennale per la Promozione dei Diritti e l’Integrazione delle Persone con Disabilità (DPR del 4 ottobre 2013), sull’attuazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, sfornato dal relativo Osservatorio, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma rimasto quasi “lettera morta”, nel vero senso della parola, poiché scritto e approvato in atti del Governo, ma di fatto inattuato per oltre il 95% delle sue parti!

Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della quale è stato vicepresidente nazionale. Responsabile per l’Area Normativo-Giuridica dell’Osservatorio sull’Integrazione Scolastica dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down).

Please follow and like us:
Pin Share
Stampa questo articolo