Ancora una volta si è dovuto ricorrere al Tribunale per un alunno con autismo

«Malgrado un tracciato normativo ineludibile – scrive Claudia Nicchiniello -, il ricorso giudiziario continua ad essere la via maestra per tanti alunni e per le loro famiglie, di fronte a chi fatica a comprendere le necessità di chi convive con il disturbo dello spettro autistico e l’importanza di rendere accessibile “l’ordinario” a partire da quello scolastico. È accaduto ancora con il Tribunale di Lagonegro (Potenza), che ha dato ragione ai genitori di un alunno con autismo, impossibilitato a frequentare la scuola senza il supporto dell’assistente formato sulle tecniche ABA»

Disegno di insegnante di sostegno con allievoMalgrado esista un tracciato normativo ineludibile, il ricorso giudiziario continua ad essere la via maestra per tanti alunni e per le loro famiglie vessate da un sistema che fatica a comprendere le necessità di chi quotidianamente convive con il disturbo dello spettro autistico e l’importanza di rendere accessibile “l’ordinario” a partire da quello scolastico.
Non si tratta di eliminare barriere materiali, ma di rimuovere o quanto meno arginare la condizione di oggettivo isolamento e di chiusura che l’autismo comporta, mediante azioni positive volte a costruire ponti comunicativi e relazionali, avvalendosi di personale formato, nell’aspirazione costituzionale dell’uguaglianza sostanziale che  impone ai Pubblici Poteri precisi obblighi di fattivo intervento per rendere fruibili i diritti e le libertà fondamentali.

In questa prospettiva, tramite un recente pronunciamento prodotto l’11 aprile scorso, il Tribunale di Lagonegro (Potenza) ha dato ragione ai genitori di un alunno con autismo di prima media, impossibilitato a frequentare la scuola senza il supporto dell’assistente formato sulle tecniche ABA (Analisi Applicata del Comportamento).
Quella in questione è una figura specialistica che si pone come importante trait-d’union tra la famiglia, i terapisti e il tessuto sociale, volta a garantire continuità e coerenza educativa e a trasferire in classe  le strategie comunicative e comportamentali modellate sul soggetto autistico in sede riabilitativa.

La vicenda ha visto come protagonista uno studente della Provincia di Salerno, supportato dalla nostra Associazione [ANGSA Campania-Associazione Nazionale Genitori di Persone con Autismo, N.d.R.] e legalmente assistito dall’avvocata Michela Antolino. Il minore si è visto riconoscere le ore di assistenza specialistica per il monte ore fissato nel PEI (Piano Educativo Individualizzato) solo alla vigilia dell’udienza cautelare – a distanza cioè di due mesi dall’inizio dell’anno scolastico e dalla proposizione del ricorso giudiziario – circostanza che aveva comportato la cessazione della materia del contendere e la rocambolesca condanna dei genitori alle spese di lite.
Nell’accogliere pienamente il reclamo cautelare e richiamando i princìpi che sottendono la “soccombenza virtuale”, come stigmatizzati anche di recente dalla Corte di Cassazione, il Tribunale di Lagonegro ha riconosciuto le ragioni del minore, precisando che nel giudizio di tipo prognostico, i requisiti del «fumus boni iuris» [“parvenza di buon diritto”, N.d.R.] e del «periculum in mora» [“danno causato dal ritardo”, N.d.R.] andavano valutati al momento della proposizione del ricorso, a fine settembre cioè, quando l’alunno, a causa del suo disturbo autistico non adeguatamente compensato, era stato costretto ingiustamente a frequentare la scuola per meno ore rispetto ai compagni “normodotati”. Da qui la condanna dell’Amministrazione alle spese di lite per «discriminazione indiretta» ai sensi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni).
«La sussistenza del fumus boni iuris – si legge nell’Ordinanza-  emerge sul semplice rilievo per cui la condotta omissiva del Comune, in ordine al mancato riconoscimento delle ore di assistenza specialistica previste dal PEI, integra di per sé condotta discriminatoria rispetto all’offerta formativa riservata agli altri alunni normodotati, ove non accompagnata da una corrispondente riduzione di quest’ultima».

Nel porre fine alla vicenda giudiziaria, dunque, il Tribunale ha chiarito che «il relativo onere di allegazione e di prova – in ossequio al principio di vicinanza della prova – incombe non su chi agisce in giudizio nell’interesse del disabile, ma sull’ente resistente che eccepisce l’insussistenza dei presupposti per l’erogazione del beneficio di legge».

Come ANGSA Campania auspichiamo pertanto in una reale presa di coscienza sulle necessità dei tanti studenti con disturbo dello spettro autistico, per i quali la scuola sempre più spesso diventa un luogo inaccessibile per la mancanza di figure educative specialistiche, quando dovrebbe essere una palestra ove fare emergere le attitudini che in questi alunni sono inespresse a causa del disturbo e che, se non sollecitate e potenziate in età evolutiva, rischiano di comprometterne irreparabilmente il processo di inclusione sociale.

Presidente dell’ANGSA Campania (Associazione Nazionale Genitori di Persone con Autismo), presidente@angsacampania.it (a questo stesso indirizzo si può richiedere il testo del pronunciamento del Tribunale di Lagonegro di cui si parla nel presente contributo). L’ANGSA aderisce alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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