Il 3 dicembre scorso, in occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità, si è svolto a Torino il convegno internazionale denominato La catena dell’accessibilità: servizi e design alla base dell’accoglienza e anche in questa occasione, parlando di ricettività alberghiera, si è fatto riferimento al “bagno per disabili”, che continua ad essere, per alcuni aspetti, un oggetto molto critico e di dubbia rispondenza funzionale.
Quest’anno ricorre il trentesimo anniversario del DPR 384/78, decreto emanato con sette anni di ritardo rispetto alla Legge di cui fu il regolamento d’attuazione [la Legge 118/71, N.d.R.], e che introdusse nella legislazione Italiana sia il simbolo internazionale dell’uomo su sedia a ruote, sia le caratteristiche obbligatorie dei locali igienici dell’edilizia pubblica o di uso comune e collettivo riservati ai disabili. Tale Decreto forniva prescrizioni rigide sulle dimensioni sia dei locali che delle attrezzature.
Abrogato nel 1996 [con il DPR 503/96, N.d.R.] e sostituito da indicazioni più attente alla rispondenza funzionale, il DPR 384/78 ha finito però col condizionare pesantemente gli aspetti dimensionali, compositivi ed estetici dei bagni della ricettività alberghiera, dei luoghi di transito, della ristorazione, degli edifici della Pubblica Amministrazione, delle scuole ecc.
Poiché, a mio parere, le critiche sottese – sia degli utenti che degli operatori alberghieri – si riferiscono ad aspetti molto diversi e contraddittori, che a volte aumentano la confusione sulle “colpe” e sulle responsabilità, vorrei sottoporre ai lettori una mia analisi del “bagno per disabili”, con la speranza di contribuire a una maggiore comprensione dell’oggetto delle nostre riflessioni.
Io sono un designer e quindi mi occupo di oggetti fisici. Ne definisco forme, dimensioni, materiali, processi produttivi. Apparentemente, dedicandomi agli oggetti, non mi occupo di persone. Riflettendo e interrogandomi sulla mia professione, sulle sue ricadute e sulle responsabilità, sono giunto alla conclusione che, per comprendere gli oggetti che compongono il nostro ambiente che è quasi totalmente costruito e, quindi, tutto derivato da una più o meno approfondita attività progettuale, sia necessario ricorrere a strumenti di analisi diversi da quelli di verifica degli aspetti fisici e tecnici.
Possiamo pensare agli oggetti quotidiani e al mondo che ci circonda come a una “torta semplice”, fatta di una base di pan di Spagna sulla quale è posto uno strato di crema. La base è costituita dagli oggetti fisici di ogni natura (bagni, pavimenti, porte, piazze, fontane, libri, computer, cibi, corpi ecc.), mentre lo strato superiore è fatto di oggetti sociali, capaci cioè di generare un rapporto e uno scambio di informazioni tra più persone.
Ci sono oggetti sociali che non hanno consistenza fisica, come la “promessa” o il “giuramento” – che pure costituiscono vincoli solidi più di un bullone – mentre possono esserci oggetti sociali basati su oggetti fisici.
Ad esempio il cartello stradale di “divieto di sosta” è il supporto di un oggetto sociale di tipo prescrittivo, il divieto, appunto, che determina un comportamento condiviso o sanzionabile.
Per comprendere meglio la suddivisione fra oggetti fisici e oggetti sociali, possiamo fare riferimento ai “normali” bagni domestici.
Il bagno domestico è stato per un tempo quasi infinito un luogo recesso, da cui l’antico nome. Man mano, negli ultimi decenni, si sono aggiunti numerosi oggetti, oltre all’acqua corrente e riscaldata, quali le specchiere, le vasche idromassaggio, le cabine doccia multifunzionali, i rubinetti e le ceramiche sanitarie di design, che hanno trasformato questo locale in un luogo mostrabile, anzi da esibire.
Gli oggetti fisici che costituiscono l’arredo della stanza da bagno, oltre a fornire una base più o meno funzionale, sono diventati supporto di oggetti sociali di tipo ostentativo. Si mostrano gli oggetti fisici, ma si intende mostrare il gusto estetico, la capacità di scegliere e di abbinare, l’appartenenza a un gruppo sociale, la disponibilità economica.
Gli oggetti sociali, in questo caso ostentativi, mettono in campo la volontà di distinguersi e nel contempo di apparire omologati. Infatti, il bagno domestico è diventato nel tempo simile alle borsette firmate, delle quali si ostenta la decorazione superficiale e il valore economico, facendo passare in secondo piano gli aspetti funzionali e la capacità di una borsa di contenere in modo organizzato o di un bagno di garantire la possibilità di svolgere agevolmente le azioni per ogni tipo di utente.
Il bagno domestico è diventato sempre più decorazione, lusso, ricerca estetica, comunicazione, a scapito, a volte, delle più elementari esigenze funzionali. Non a caso il bagno domestico – insieme alla cucina – è il luogo in cui avvengono il maggior numero di incidenti ad anziani, bambini e persone con qualche leggera o momentanea limitazione funzionale o cognitiva.
Non è così per il “bagno per disabili”. Se volessimo infatti classificare il bagno dei luoghi condivisi, identificato col simbolo dell’uomo su sedia a ruote, dovremmo metterlo in un contenitore ben diverso dagli oggetti ostentativi o da esibire.
Il “bagno per disabili” finirebbe infatti nello stesso contenitore del contatore della luce, del parchimetro, del biglietto dei mezzi pubblici, del bollo dell’auto, della dichiarazione di accettazione del trattamento dei dati personali per la privacy, dello scontrino del panettiere o della ricevuta del ristorante.
Oggetti fisici apparentemente senza alcun legame, che appartengono tutti alla categoria degli oggetti sociali contrattuali i quali definiscono, infatti, un rapporto codificato di dare e avere che si instaura, grazie all’oggetto, tra le persone.
Ecco come, nel caso del bagno, questo rapporto si esplica: io – viaggiatore – nel prenotare la stanza d’albergo dichiaro preventivamente la mia condizione di disabile ed io – albergatore – fornisco il bagno così come prescritto dalla legge, esonerandomi da ogni altra responsabilità. Se accidentalmente tu – utilizzatore – resti incastrato con una gamba nell’apertura anteriore del sedile speciale spesso undici centimetri, la prossima volta farai più attenzione. Io ti ho fornito quanto prescrive la legge, ho assolto il mio dovere contrattuale, quindi non ho responsabilità. Resta al singolo operatore il buon senso o la sensibilità, oltre quanto prescrive la Legge.
Questo atteggiamento vale per tutta l’area dell’eliminazione delle barriere architettoniche, dove, seppure a norma, le infrastrutture urbane e architettoniche continuano troppo spesso a creare disagio e pericolo.
Gli alberghi, tramite la classificazione a stelle, hanno da sempre evidenziato il loro prestigio in base al livello di esclusività, eleganza, lusso, sfarzo. Certo è che questo “bagno per disabili” scombina totalmente i loro valori, crea disagio, fastidio. Non è facile far convivere lo sfarzo e l’ostentazione con la “clausura”.
Ma com’è nato il “bagno per disabili”? Il legislatore – che spesso ci fa sospettare di trovarci alla presenza di politici “diversamente intelligenti” – non ha chiamato a sé i migliori designer, ergonomi, medici, psicologi, chiedendo loro di progettare un luogo accessibile e confortevole. Si è invece rivolto all’esistente e ha trovato i bagni “assistiti” di trent’anni fa, quelli degli ospedali o dei centri di riabilitazione funzionale, facendoli diventare norma.
Ma l’arredo ospedaliero ha sempre privilegiato gli aspetti profilattici, igienici e di manutenibilità, con qualche accenno di funzionalità, ignorando totalmente gli aspetti cognitivi, affettivi ed emozionali.
L’arredo ospedaliero – tranne che per alcune macchine elettroniche che fanno biiip – è rimasto “all’età del ferro”, seppure inox, al tubolitico inferiore. Così il medico che aveva necessità di un bagno con maggiori capacità prestazionali per il suo centro di riabilitazione si è rivolto al fornitore d’arredo ospedaliero, il quale non ha trovato di meglio che proporre un insieme di tubi curvati variamente installati lungo le pareti. Non si può affermare che non abbiano utilità pratica e che non consentano una parziale autonomia. Sono di certo molto più funzionali dei bagni tradizionali, la cui evoluzione è andata via via più in direzione dell’ostentazione che dell’incremento di prestazioni. E tuttavia è altrettanto vero che il “bagno per disabili” così definito è un apparato pesantemente discriminante, che non tiene né conto della condivisione degli stessi ambienti con altre persone, né delle esigenze pratiche, emozionali, affettive ed estetiche degli utilizzatori.
Non so se sono stato sufficientemente chiaro, ma mi pare che la distinzione fra oggetto fisico e oggetto sociale ci consenta di comprendere meglio di cosa stiamo realmente parlando, dove si sono generate le carenze e cosa innanzitutto non funziona in quell’insieme di oggetti che per fortuna ci sono e che hanno consentito a molte persone di allontanarsi da casa, di viaggiare per necessità o per piacere, con una seppure relativa autonomia, certamente maggiore man mano che, negli ultimi trent’anni, la legge sulla dotazione dei locali igienici dei luoghi pubblici veniva applicata.
Il design ha immaginato e realizzato un mondo in cui oggetti come i seggiolini o i maniglioni ribaltabili dei bagni “a norma” sono banditi. Saldature grossolane, viti e bulloni a vista, verniciature con colature si trovano ormai solo nei peggiori oggetti di carpenteria pesante o nelle stazioni spaziali. Sarà per tale ragione che questi “arredi” costano quanto un Apollo 13?
Il design ha però sempre trascurato, salvo rare ed eccellenti eccezioni, quest’area di progetto. Le imprese, committenti dei designer, hanno sempre snobbato questa fetta consistente di mercato, lasciandola all’età del ferro.
Trascorsi ormai trent’anni, è dunque tempo che il design, l’industria delle forniture e il sistema della ricettività e dell’ospitalità si muovano in modo concorde, con gradualità, ma con decisione, verso una diversa concezione che veda nascere il bagno per tutti senza discriminazioni.
*Designer.