Lo sapevo. Prima o poi doveva capitare di nuovo. Non è colpa di nessuno, tanto meno degli organizzatori della lista di cui faccio parte, in vista delle prossime Elezioni Amministrative di Milano. Ma è successo. Molto opportunamente si è deciso di presentare alla stampa la lista stessa, nel luogo più idoneo e dignitoso, il Circolo della Stampa, nel cuore di Milano, in Corso Venezia, 48. Palazzo Bocconi, bellissimo, affrescato, istoriato, con scalone nobiliare. Ecco, appunto. Lo scalone. Largo, monumentale, imponente. Oppure un ascensore. Al suo interno abbastanza capiente, ma la porta, no, quella decisamente è stretta, non è a norma, non consente a una sedia a rotelle di entrare.
Lo sapevo. Ma non ho voluto che venisse spostata la sede della conferenza stampa. Non sarebbe stato giusto. Quella è la casa dei giornalisti, dunque anche la mia. E se io non la posso frequentare, quella casa, è giusto che si sappia, che si veda. Per tanti anni il Circolo della Stampa – che ospita convegni pubblici, conferenze, dibattiti spesso di alto livello – è stato in un’altra sede, a poche decine di metri di distanza. Lì l’ascensore era addirittura ridicolo nella sua totale inutilità per chi, come me, si muove in carrozzina (ma penso anche per chi abbia un po’ di pancia in eccesso…). I colleghi del Circolo allargavano le braccia, mi davano ragione, e aggiungevano: «Tanto da qui ce ne dobbiamo andare presto… Inutile fare i lavori se poi ci trasferiamo». Già. Infatti adesso la situazione è quasi identica…
Ho parlato, assieme agli altri amici della lista, nell’androne del palazzo, spiegando il senso della mia presenza comunque, direi “a prescindere”. Poi la conferenza stampa si è svolta regolarmente, al piano di sopra, mentre io, nel giardino del palazzo, mi scaldavo al tiepido sole di primavera.
Penso che la mia piccola campagna elettorale vivrà altre situazioni come questa. Perché Milano è fatta così, vecchia, distratta e sorniona. Alcuni amici erano pronti ad aiutarmi, a portarmi “a braccia” fino al piano “nobile”. Ho capito e apprezzato lo spirito del gesto, ma ho spiegato loro che così le cose non cambieranno mai. Prima di tutto perché non è dignitoso, nel 2011, essere portato “a braccia” su per le scale. E poi perché quando una discriminazione è così palese, va semplicemente annotata e spiegata, magari sorridendo. Altrimenti le cose rimarranno sempre così. Si penserà che con un “piccolo aiuto” un “invalido” può andare (quasi) dappertutto. Ma non è così.
A Milano c’è una parte della città che rimane “invisibile”. Migliaia di persone che rinunciano a muoversi, a uscire di casa, a partecipare alla vita sociale, culturale e politica. Devono limitarsi a luoghi dedicati, separati, frutto del lavoro del volontariato, delle cooperative, delle associazioni. Ma la “corrente generale del fiume”, quella che oggi viene chiamata mainstream, è sostanzialmente inaccessibile, separata, lontana da criteri di inclusione per tutti.
Ecco perché ho accettato, anche questa volta, di mettermi a disposizione, esponendomi in prima persona, mettendoci la faccia e le idee. Qualche cosa resterà, qualche seme germoglierà, qualche porta si allargherà. Forse.
Prima o poi, magari, anche i giornalisti milanesi si porranno il problema in casa loro. Che è anche la mia.
*Testo apparso anche in «FrancaMente», il blog senza barriere di Vita.blog, con il titolo Candidato a piano terra, qui ripreso con alcuni adattamenti.