Il 21 febbraio scorso – nel proprio sito di informazione e approfondimento (Persone con disabilità.it) – la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), pubblica un articolo intitolato Alla Scala con la scuola: dov’è l’integrazione?, che chiama in causa una delle istituzioni culturali italiane più celebri nel mondo – La Scala di Milano, appunto – in riferimento alla lettera ricevuta dalla mamma di Alessia, 15 anni, tetraplegica, cieca e con un grave deficit cognitivo.
Questo il testo della nota pubblicata dalla LEDHA: «Il professore di musica di Alessia ha deciso di portare la classe ad un concerto pomeridiano organizzato nell’ambito di una promozione rivolta a giovani ed anziani. Alessia viene accompagnata dalla mamma. Giunti al teatro, la Responsabile del coordinamento tra la Scala e le scuole segnala di non essere stata avvisata della presenza di Alessia e sottolinea la fortuna dovuta al fatto che Alessia è l’unica in carrozzina presente in sala, perché se se ne fosse presentata una seconda, si sarebbero visti costretti, loro malgrado, ad accoglierne una soltanto.
Per motivi di sicurezza vengono fatte accomodare oltre l’ultima fila della platea su un corridoio in pendenza, lontane dai compagni di classe. Dopo alcuni “vocalizzi” di Alessia vengono accompagnate fuori ed invitate a seguire la rappresentazione da uno schermo nel foyer.
La mamma di Alessia, al termine del secondo brano in repertorio, decide di mettere fine a quella che considera un’assurdità. Venendo meno l’acustica del teatro e la vicinanza dei compagni, realizza che il tutto aveva perso di significato. Veste Alessia e saluta. Subito dopo l’accaduto la mamma di Alessia ha chiesto chiarimenti al teatro, tramite un’e-mail che riportiamo qui di seguito, a cui, solo dopo un sollecito, hanno risposto che… risponderanno quanto prima. Era il 2 febbraio…
Nell’episodio riportato vi sono gli estremi per una causa di discriminazione. La Signora non ha intenzione di procedere legalmente, ma l’auspicio è che il teatro le risponda rapidamente e metta in atto procedure volte all’eliminazione di eventuali discriminazioni. Il motivo che spinge la mamma di Alessia a raccontare l’accaduto è che ne possa nascere una riflessione costruttiva: “Senza che il Teatro alla Scala debba rinunciare alla tradizione che ne ha fatto la storia – ha scritto nella sua e-mail -, credo sia fondamentale che si apra al mondo che è rappresentato anche da persone disabili, siano esse in carrozzina oppure no. Credo che non sia dignitoso relegare una carrozzina oltre l’ultima fila della platea su un corridoio in pendenza. Il Cine Teatro San Luigi di Concorezzo (il paese nel quale fortunatamente risiediamo), nato come cinema dell’oratorio, ha provveduto a rimuovere due poltrone nella file centrali della platea per poter alloggiare eventuali carrozzine, permettendo così alle persone non deambulanti di poter sedere accanto all’amico, al compagno. Questo mi sembra un grande e concreto gesto di civiltà. Credo sia inaccettabile pensare di respingere all’ingresso una persona in carrozzina se all’interno del teatro ne è già presente un’altra”.
“L’episodio verificatosi alla Scala – spiega l’avvocato Gaetano De Luca del Servizio Legale LEDHA – costituisce un’evidente discriminazione vietata dalla legge e pertanto è auspicabile che i responsabili del teatro adottino tutte le misure necessarie affinché episodi simili non riaccadano”».
A corroborare le dichiarazioni di Gaetano De Luca, la LEDHA ne presenta anche, subito dopo, un’ampia ricognizione legale, disponibile cliccando qui.
Il 23 febbraio arriva la risposta dalla Scala, a firma di Carlo Maria Cella, Capo Ufficio Stampa, che scrive alla Federazione lombarda: «Gentile LEDHA, vengo a conoscenza del caso di Alessia solo ora e cerco di rispondere in maniera serena e circostanziata. Il teatro alla Scala rispetta tutti gli obblighi di legge riguardo all’accesso delle persone diversamente abili, ma essendo un edificio progettato e costruito nel 1778, e come tale protetto dalla Soprintendenza alle Belle Arti, dispone di soli due posti a fondo sala per carrozzine, che vengono regolarmente occupati quasi tutte le sere. Appunto per questo, è necessaria notizia della presenza di persona diversamente abile: la mamma di Alessia ammette che questa presenza non era stata segnalata, e il direttore di sala ha semplicemente evidenziato la fortuna di non avere già occupato tale spazio. Questo non mi sembra discriminatorio. Infatti Alessia è entrata. La mamma di Alessia lamenta la sistemazione su un “corridoio in pendenza”, “lontano dai compagni”; ma appunto quello è l’unico spazio disponibile, segnalato e concesso dalla Soprintendenza e dagli organi di vigilanza. Il paragone con il teatro che lei cita è del tutto inappropriato: quel che è possibile in un teatro “normale”, non lo è appunto alla Scala. In platea non è possibile alloggiare carrozzine, e del resto ciò non avviene in alcun teatro d’opera. La lontananza dai compagni era inevitabile. La mamma di Alessia lamenta di esser stata allontanata dopo alcuni “vocalizzi” della ragazza. Ma questo è un altro tipo di problema. In un luogo in cui un ascolto concentrato e silenzioso è parte costitutiva dell’esperienza, nessun rumore, commento o suono dalla platea può essere ammesso. E anche questo non rientra in alcuna forma di discriminazione: fa semplicemente parte dei “codici” cui qualunque spettatore è tenuto al rispetto. Lo impone la difficoltà della musica che alla Scala si propone, lo chiedono in primo luogo gli artisti chiamati a uno sforzo di concentrazione assolutamente fuori del comune, lo possono pretendere tutti gli altri spettatori, che pure hanno un diritto acquisito. Non riesco veramente a ravvisare alcuna forma di discriminazione in quanto è avvenuto».
E arriviamo ai giorni scorsi, con la nota prodotta da Marco Rasconi, presidente di LEDHA Milano, che risponde in tal modo al Capo Ufficio Stampa della Scala: «Non possiamo esimerci dall’evidenziare che tale risposta ci ha lasciato molto perplessi. Abbiamo chiesto al nostro ufficio legale di approfondire i contenuti della vicenda, evidenziando gli aspetti che ci pongono in disaccordo con la sua interpretazione dei fatti. Da un punto di vista tecnico, le alleghiamo tali valutazioni di merito, dalle quali emerge fra l’altro come – a nostro avviso – Alessia sia stata oggetto a tutti gli effetti di una condotta discriminatoria.
Da un punto di vista generale, ci preme qui evidenziare come l’atteggiamento delle strutture turistiche e culturali verso i clienti con disabilità possa essere di due tipi molto diversi. Da un lato c’è chi vive il diritto all’accesso delle persone con disabilità come un fardello a cui si deve forzosamente ottemperare, interpretano le normative nel modo più restrittivo possibile, in una “logica al ribasso” basata sul mero rispetto dei requisiti minimi di legge.
Dall’altro c’è invece chi vive il diritto all’accesso delle persone con disabilità come un’opportunità favorevole per migliorare la propria qualità dell’accoglienza, sia dal punto di vista strutturale che da quello dell’efficacia del servizio offerto.
Nella sua risposta, lei ci scrive che il paragone fatto dalla madre di Alessia col Cine Teatro San Luigi di Concorezzo non regge, perché La Scala non è un “teatro normale”. Proprio perché La Scala è un luogo unico e speciale, ci aspetteremmo una maggiore apertura al dialogo e una maggiore disponibilità, per far sì che anche le persone con disabilità potessero godere appieno dell’offerta culturale esclusiva che La Scala propone.
Gli spettacoli cui una persona con disabilità potrà assistere al Cine Teatro San Luigi di Concorezzo saranno offerti verosimilmente in altre decide di sale del territorio milanese; mentre l’offerta culturale della Scala non la si trova altrove. Per questo, la responsabilità del suo teatro verso la cittadinanza è – a nostro avviso – ancora maggiore.
L’invito che pertanto rivolgiamo al suo teatro è quello di aprire un confronto costruttivo con le associazioni della disabilità, perché un’offerta culturale che sappia soddisfare appieno le esigenze delle persone con disabilità sarà di per sé un’offerta più attenta alle esigenze di tutti, e una crescita civile per l’intera città.
Per citare il caso di un’altra importante realtà milanese, proprio nei giorni scorsi – a seguito di un percorso di confronto e collaborazione fra SEA Aeroporti e le associazioni della disabilità lombarde – è stata rilasciata agli scali di Linate e Malpensa la certificazione di qualità per i servizi di assistenza ai passeggeri con disabilità.
A fronte di milioni di passeggeri annuali, le problematiche di servizio che SEA deve affrontare sono assai complesse e su larga scala, eppure la recente certificazione dimostra che quando c’è da entrambe le parti la volontà di confrontarsi in modo costruttivo, nessun traguardo è precluso ed è sempre possibile giungere a soluzioni rispettose delle istanze di tutti i portatori di interesse».
Non possiamo che condividere quanto ribadito dalla LEDHA: la discriminazione c’è stata e proprio in strutture “uniche” come La Scala, ancor più che in altre, si può dare un concreto segno di importante crescita civile, a partire da un positivo confronto con le associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie. I princìpi stessi, insomma, che stanno alla base della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Seguiremo naturalmente con attenzione gli sviluppi di questa emblematica vicenda. (S.B.)