«L’APRI di Torino, insieme all’artista Thomas Nadal Poletto, ha realizzato alcuni video che intendono lanciare, grazie ad attori ipovedenti e non vedenti, un messaggio ben preciso: chi non vede può effettuare moltissimi atti della vita quotidiana, così come chi vede. Se vedo, guardo con i miei occhi le icone dello schermo del mio smartphone; se non vedo, le immagino nella mia mente mentre le sfioro. Se vedo, cambio la ruota della mia bicicletta guardando il copertone, la camera d’aria e il cerchione; se non vedo, li sento con le mani. Se vedo, seleziono i programmi della lavatrice guardando il numero sul display; se non vedo, ne ascolto gli scatti di avanzamento. Se vedo, distinguo i fili elettrici in base al colore; se non vedo, c’è un apparecchio che me li indica a voce. Non pensare, dunque, che un disabile visivo abile ed autonomo sia necessariamente un falso invalido!».
È questo il testo del comunicato trasmesso da Radio GTT, che ben sintetizza la campagna di sensibilizzazione lanciata dall’APRI di Torino (Associazione Pro Retinopatici ed Ipovedenti), tramite alcuni video, del primo dei quali si era occupato, qualche tempo fa, anche il nostro giornale.
L’iniziativa giunge ora a una fase di notevole visibilità, grazie a un accordo fra l’APRI e il GTT (Gruppo Torinese Trasporti), in base al quale i tre video – di cui sono protagonisti i Soci dell’APRI Loretta Rossi, Michele Rosso e Vito Internicola – vengono proiettati in questi giorni in tutte le stazioni della metropolitana torinese.
«Sarebbe opportuno – annota con una certa dose di amarezza Marco Bongi, presidente dell’APRI – che anche i grandi organi d’informazione dimostrassero sensibilità nei confronti della riabilitazione visiva. Forse si renderebbero conto che prima di lanciare accuse pesanti e finti scoop su presunti “falsi ciechi”, varrebbe la pena approfondire meglio un problema purtroppo ancora poco conosciuto. Oggi, infatti, accade spesso che molte persone non vedenti vivano con grande timore l’idea di impegnarsi in un percorso riabilitativo, perché temono di essere giudicate come “finti ciechi”». (S.B.)