Opinioni

Sana follia e amicizia tra le montagne del Tibet

Alice Maniezzo insieme all'amica, durante il loro viaggio in Oriente

«Nonostante le difficoltà oggettive di una disabilità – scrive Alice Maniezzo, giovane donna ipovedente, che racconta il suo viaggio in Nepal e Tibet – auguro a tutti di avere un pizzico di sana follia per provare esperienze nuove e superare qualche limite. Auguro, altresì, di trovare e avere meravigliosi amici con i quali condividere belle e stimolanti esperienze che ricorderanno per sempre»

Perché la Vita Indipendente è tutt’altro

Manifestazione della Rete "Liberi di Fare" in Piazza della Repubblica a Firenze nel novembre 2017

«La Regione Toscana stanzia pochissimi soldi per l’assistenza personale per la vita indipendente. Il risultato è che oltre 200 persone sono in lista di attesa di ricevere il contributo vita indipendente, mentre molti di coloro che lo percepiscono prendono il minimo previsto di 800 euro mensili (due ore al giorno di assistenza personale) e solo pochi disabili gravi percepiscono la cifra massima di 1.800 euro mensili (sei ore al giorno di assistenza personale)»: l’AVI Toscana (Associazione Vita Indipendente) individua varie criticità in una recente Delibera della propria Giunta Regionale

Abbandonati dopo i 18 anni nel “deserto della loro vita”

«Al raggiungimento della maggiore età - scrive Sandro Paramatti - i pubblici servizi, e in particolare quello della Sanità Pubblica, abbandonano le persone con disabilità nel deserto della loro difficile vita»

«I pubblici servizi – scrive Sandro Paramatti -, e in particolare quello della Sanità, seguono alla meno peggio i pazienti con disabilità, fino al raggiungimento della maggiore età, per poi abbandonarli nel “deserto” della loro difficile vita. Divenuta maggiorenne, quindi, la persona con disabilità non viene più presa in considerazione da chi avrebbe quest’obbligo, come se la sua aspettativa di vita non superasse i due decenni»

Alziamo la voce per la libertà di divertimento

Il concerto degli Evanescence all'Arena di Verona, visto da una persona in carrozzina, come documentato da questa foto, inviata da una signora a Sofia Righetti

«Dobbiamo alzare la voce per la libertà di divertimento – scrive Sofia Righetti, raccontando la storia di un concerto atteso per mesi e visto (molto male) solo per metà, all’Arena di Verona -, per poter stare vicino ai nostri compagni, ai nostri figli e ai nostri amici durante i concerti. È stressante, stancante, deprimente, perché dovrebbero essere cose scontate come lo sono per tutte le altre persone, ma se non ci uniamo a combattere per cambiare i privilegi abilisti e discriminanti della società, chi lo farà per noi?»

Successi scolastici: ma perché da noi no?

Andrew Wyeth, "Up in the Studio", 1965

«Sempre più spesso – scrive Giovanni Provvidenza, presidente dell’ANFFAS di Modica (Ragusa) – i mezzi di informazione propongono storie di ragazzi con disabilità che hanno successo negli studi, riuscendo persino a conseguire una laurea. Ma perché nel nostro territorio tutto ciò sembra irrealizzabile? Infatti, il problema è che se i nostri studenti con disabilità, nella quasi totalità dei casi, concludono il loro percorso formativo con un semplice attestato di frequenza (e non con un diploma) significa che, di strada, dobbiamo ancora percorrerne tanta»

L’“Isola Formativa”, opportunità poco sfruttata

«È nel 2016 – scrive Marino Bottà – che negli atti ufficiali della Regione Lombardia si parla per la prima volta di “Isola Formativa”, azione con la quale si riconoscono alle aziende (soggette e non agli obblighi della Legge 68/99) i costi per la creazione di ambienti formativi al lavoro, integrati con i processi produttivi. Si tratta di una buona prassi che non ha avuto finora un’adeguata diffusione, ma ora ci sono alcuni soggetti sociali privati e del privato sociale che hanno deciso di promuoverla, per creare buone opportunità rivolte in particolare a persone con disabilità complesse»

L’efficienza delle metropolitane giapponesi

«Nonostante le colossali infrastrutture – scrive Lavinia Fontana -, un numero infinito di ponti che sorvolano le città e le miriadi di luci che abbagliano le strade, ciò che però mi ha colpito di più in Giappone sono state l’attenzione, l’organizzazione e l’efficienza del servizio offerto alle persone con disabilità nelle metropolitane. Sembra un servizio scontato e così dovrebbe essere, ma è purtroppo ben noto che molti Paesi – anche occidentali – sono ancora molto arretrati per quanto riguarda il diritto di circolare liberamente di ogni persona»

Ci riguarda la vicenda di Vincent Lambert?

«Forse – scrive Nicola Panocchia, riflettendo sulla vicenda di Vincent Lambert, deceduto in Francia dopo la sospensione dei trattamenti che da anni lo tenevano in vita – è arrivato il momento che associazioni, caregiver e persone con disabilità aprano un dibattito franco al loro interno sui temi che pone la tecnologica applicata alla medicina nel fine vita e della vita nascente. Infatti, queste tematiche e le conseguenti scelte hanno inevitabilmente ripercussioni sulla visione della disabilità nella società, sui diritti delle persone con disabilità, e, in ultima analisi, sulla democrazia»

Apparire e non essere è come filare e non tessere

«Aumentano le Amministrazioni Comunali – scrive Giulio Nardone – che stanziano somme per ottenere una bandiera che attesti il loro impegno nel superamento delle barriere architettoniche, invece di eliminarle in concreto. Ci viene in mente un vecchio proverbio che diceva: “Apparire e non essere è come filare e non tessere”. Si tratta di denari pubblici spesi per ottenere attestati di eliminazione delle barriere, anziché per eliminarle realmente, con il paradosso di un premio all’impegno per l’accessibilità consegnato in una piazza inaccessibile a una parte delle persone con disabilità»

Vorrei solo essere un soggetto attivo

«Sono affetto da sclerosi multipla progressiva e ho sempre insegnato, ma in queste settimane, per continuare a farlo, sto vivendo una vera e propria odissea»: comincia così il racconto di Armando De Masis, che vorrebbe solo lavorare ed essere un soggetto attivo della società, ma che di fronte a certe situazioni, conclude: «Raramente qualche Istituzione mi ha reso più facile l’ingresso nel contesto sociale e ancor più raramente le Istituzioni stesse hanno rimosso gli ostacoli e le barriere (non solo architettoniche) per includermi e farmi partecipe del sociale»

Quel camper è un “bene da ricchi”? Non scherziamo!

«La recente vicenda di Prato – scrive Antonio Giuseppe Malafarina – riguardante la madre di una persona con autismo che per farla stare meglio compra un camper la cui potenza, in linea con le potenze di un qualsiasi prestazionale furgone, la fa risultare ricca quanto basta da guadagnarsi l’intimazione a lasciare la propria casa popolare, è disgustosa. Anzi sa di barzelletta: “la sai quella della signora col figlio autistico che compra un camper per portarlo in giro e le tolgono la casa popolare?”. Però c’è proprio poco da ridere!»

Quelle stazioni proibite alla mia carrozzina elettrica

«Molte stazioni della Linea Ferroviaria Suburbana Bologna Vignola – denuncia Alberto Coppini – non sono più praticabili da una persona che si muove in carrozzina elettrica. Si dovrà attendere molto per far sì che chi di competenza provveda a sistemare questo inconveniente, che taglia fuori dalla vita attiva un certo numero di persone con disabilità come me?»

Quando alle persone con disabilità venne negato il diritto al salvataggio

«“Alle persone con disabilità venne negato il diritto al salvataggio”: la denuncia di qualche anno fa – scrive Stefano Zanut -, riguardante ciò che accadde nel 2005 a New Orleans, con l’arrivo del devastante Uragano Katrina, impone una riflessione e rende necessario, in tema di cambiamenti climatici e disuguaglianze, attivare un percorso nuovo – come stanno facendo le Nazioni Unite -, che a partire da ciò che abbiamo imparato dalle esperienze, sappia delineare un cambio di prospettiva nella cultura dell’emergenza e del soccorso, senza dimenticare di coinvolgere anche le persone interessate»

E la chiamano estate ovvero La nostra quotidiana “ordinaria diversità”

«Chi ha una persona disabile in famiglia – scrive Irene Gironi Carnevale -, e nella fattispecie un figlio, vive l’estate come un incubo, a meno che non goda di una casa in un luogo di vacanza e di parenti/operatori/amici tuttofare disponibili per tutto il periodo estivo a interagire e aiutare nella gestione. Si guarda il calendario, pensando che quando si sarà rientrati nella routine quotidiana tutto sembrerà meno drammatico e si fa la “stecca”, come i carcerati o i militari di una volta, smarcando mentalmente i giorni che ci riportano alla nostra quotidiana “ordinaria diversità”»

Quanto ancora dovremo aspettare per avere cure mirate?

«Quanto ancora dovremo aspettare per avere cure mirate e rispettose di persone che hanno bisogni importanti e specifici? Questo non è un caso isolato che riguarda la provincia di Bari, ma purtroppo riguarda tutta l’Italia. E intanto cambiano ancora i nostri interlocutori nei Ministeri…»: lo scrive Benedetta Demartis, commentando la tragedia avvenuta a Grumo Appula (Bari), dove un ragazzo con autismo, soccorso con grande ritardo, si è poi lanciato da un balcone

Forse “voleremo” sulle barriere, ma intanto bisogna continuare a rimuoverle

«Forse fra non molto – scrive Antonio Giuseppe Malafarina, pensando a Franky Zapata, l’“uomo volante” apparso a Parigi, durante le celebrazioni per l’anniversario della Rivoluzione Francese – potremmo percorrere le scale della Torre di Pisa su una carrozzina senza ruote. Ma fermare il processo di abbattimento delle barriere sarebbe un errore gravissimo»

Non eroi, ma normali storie di inclusione

«Per il futuro speriamo di leggere sempre di più storie di ordinaria inclusione in cui nessuno sia eroe, ma normale attore di un processo di crescita per il singolo e per l’intero sistema scolastico»: lo scrive Veronica Asara, commentando la notizia diffusa qualche tempo fa, riguardante una mamma che ha scelto, pare su richiesta della scuola, di seguire in classe il proprio figlio con autismo, ricoprendo di fatto, il ruolo dell’insegnante di sostegno e giungendo lei stessa, al conseguimento del diploma insieme al figlio

I “ciechi che ci vedono”

«Tra comunicati stampa roboanti – scrive Nadia Luppi -, articoli da prima pagina e notizie imprecise, c’è ancora tanta confusione sulle varie sfumature di esistenza che afferiscono al mondo della disabilità visiva. Ma la disabilità visiva e le sue sfumature sono “maestre” perché costringono all’ascolto, invitando a non abituarsi ai confini netti e ai protocolli standard. Solo pensando insieme a cosa può essere utile fare, si eviteranno iniziative inefficaci e malintesi che non fanno altro che alimentare rabbia, paura e pregiudizi, forieri di politiche insane e di vere “cacce alle streghe”»

Esempi reali e recenti di alunni inclusi solo formalmente a scuola

«Ci sono purtroppo esempi reali e recentissimi – scrive Carlo Hanau – di situazioni riguardanti allievi con gravi disabilità inclusi solo formalmente nella scuola. C’è ad esempio la strategia di “suggerire” alla famiglia di “scegliere” l’educazione parentale, minacciando di chiamare la polizia e il 118 e assicurando la promozione, alla fine dell’anno scolastico, anche senza avere mai visto il ragazzo. Inoltre, anche in molti ospedali e dipartimenti pediatrici specializzati il bimbo con gravi problemi comportamentali o intellettivi viene tenuto solo se c’è un parente che lo assiste»

L’autismo è complesso, ma non voglio più leggere di genitori a scuola col figlio

«L’autismo spesso è complesso – scrive Benedetta Demartis, commentando la notizia riguardante una madre tornata sui banchi di scuola per aiutare il figlio con autismo – e per questo da anni chiediamo formazione specifica a casa, a scuola, nei centri diurni e residenziali. Non voglio però più leggere di genitori che stanno in classe col figlio o che devono andare in gita altrimenti la scuola non lo fa partecipare. Che vengono chiamati a scuola per cambiargli le mutande, perché non c’è il bidello che fa quella mansione. Che devono lasciare il lavoro, ciò che quasi sempre càpita alla madre»