Non sono affatto sbagliati, i mezzi che proponiamo!

«La Proposta di Legge sostenuta dalle nostre Federazioni – scrive Luciano Paschetta della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) – porrà l’alunno con disabilità alla pari con i compagni nel rapporto con i docenti e darà una nuova dignità al ruolo del sostegno, mettendolo al servizio della classe e della scuola, e non, come accade ora, “al servizio” del ragazzo con disabilità, sostituendosi ai docenti di classe»

Aula di scuola secondaria«Un insegnante, per essere tale, deve avere l’abilitazione in qualche cosa che occorre “ insegnare”. Ci troveremo quindi in classe con un insegnante vero… e un insegnante di sostegno che non è un insegnante, perché non è abilitato all’insegnamento di nulla. Per agire bene in classe occorre invece rispettare e favorire ciò che la Legge 104 afferma: “L’insegnante di sostegno assume la contitolarità”. Ma come può accadere questo se l’ insegnante di sostegno non è… un insegnante?».
Questa è una delle critiche del mondo accademico alla Proposta di Legge C-2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali), sostenuta dalle nostre Federazioni [FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap e FAND-Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità, N.d.R.], che noi respingiamo. L’esperienza di questi quarant’anni di integrazione ci ha dimostrato che questo ragionamento può valere per la scuola primaria, ma non regge per la scuola secondaria. Nella secondaria, infatti, il docente di sostegno può avere l’abilitazione per una classe di concorso, ma si trova ad essere “contitolare” con docenti di discipline diverse dalla sua e allora, in che cosa si può concretizzare la sua “contitolarità”? Non certo  in riferimento alle competenze disciplinari, ma unicamente in relazione alla sua specializzazione nei confronti della disabilità.
La difficoltà nell’esercizio della “contitolarità” aumenta poi quando si passa dalla secondaria di primo grado a quella di secondo grado, dove gli apprendimenti disciplinari diventano sempre più specifici e allora, nella difficoltà di sviluppare un percorso inclusivo, si assiste alla crescente delega dell’alunno con disabilità al docente di sostegno e al suo progressivo isolamento dal contesto della classe, ciò che sempre più spesso si concretizza nelle attività svolte all’interno della cosiddetta “aula di sostegno”.
Questo è ciò che avviene ora e non è – come sostenuto dal professor Ianes su queste stesse pagine – che la costituzione di uno specifico ruolo per il sostegno rappresenti una «prospettiva separante» e «sbagliata, fondamentalmente perché consolida e rende strutturale la divisione tra “insegnante normale” e “insegnante speciale”, favorendo meccanismi di delega»; viceversa, come vedremo, la proposta da noi sostenuta quei meccanismi di delega li elimina proprio.

Siamo tutti d’accordo che per una scuola inclusiva serva una maggiore specializzazione dei docenti, ma lo siamo altrettanto nel pensare che non sia possibile una specifica specializzazione di tutti i docenti e la conseguente eliminazione del docente di sostegno.
È da queste considerazioni che muove la Proposta di Legge C-2444, mirata a fornire ai docenti titolari delle discipline una formazione (di base e continua), che li formi appunto a un corretto approccio educativo-relazionale con l’alunno disabile, che li renda capaci di farsene responsabili dell’insegnamento disciplinare, con il supporto, sul piano metodologico, dei docenti di sostegno, prevedendo per questi ultimi una specifica specializzazione.
Specializzazione, questa, che non può essere  solo “generale”, ma deve fare riferimento a conoscenze didattiche e competenze tecnico-metodologiche efficaci, in relazione alle specifiche disabilità: solo così, infatti, la “contitolarità” potrà essere reale.
Va detto altresì che il ruolo di questo docente, esperto in “metamodelli inclusivi”, non è quello dell’educatore, come sostengono i critici della proposta, ma quello di docente specializzato, progettista e attuatore di percorsi formativi, sviluppati e realizzati in contitolarità con i colleghi titolari delle discipline. E può anche essere quello di “figura obiettivo” e di mediatore didattico per l’inclusione, capace di contribuire allo sviluppo di un POF [Piano dell’Offerta Formativa, N.d.R.] inclusivo.
Per essere efficace, la funzione docente ha bisogno di due competenze, quella disciplinare e quella metodologico-didattica, e quando, in presenza di “complessità educative”, l’esercizio di essa richiede la contitolarità di due docenti, affinché quest’ultima sia reale, è necessario che i due insegnanti siano portatori di specifiche competenze complementari.

Sono queste le riflessioni che ci hanno portato a valutare la necessità di una classe di concorso che prescindesse dal disciplinare, ma si fondasse sulle competenze metodologiche e didattiche, capaci di garantire un insegnamento inclusivo.
In tal modo – contrariamente a quanto sostenuto da molti – viene meno la possibilità della delega: chiarito infatti che gli insegnamenti disciplinari sono di esclusiva competenza del docente di classe, egli non potrà più delegare la sua funzione di insegnante nei confronti dell’alunno con disabilità, verso il quale avrà la responsabilità dell’apprendimento e della valutazione, così come per tutti gli altri.
Allo stesso modo, affermare che la figura di uno specializzato esperto in “metamodelli inclusivi” di apprendimento, didattica, metodologie e tecniche per l’insegnamento non possa essere considerato un vero docente, è difficile da sostenere: proprio lui, che supporta la classe e l’intera scuola, nelle capacità di fornire insegnamenti inclusivi!

Respingiamo infine anche la tesi secondo cui la nostra proposta sarebbe dettata dai bisogni delle famiglie e non terrebbe conto delle necessità dei docenti: la formazione di tutti i docenti sulle tematiche dell’inclusione, la specializzazione dei docenti per il sostegno – che personalmente tornerei a chiamare specializzati – e la creazione della specifica classe di concorso, definendo con chiarezza i compiti e le competenze, porranno infatti l’alunno alla pari con i compagni nel rapporto con i docenti e daranno una nuova dignità al ruolo del sostegno, mettendolo, come detto, al servizio della classe e della scuola, per lo sviluppo di un sistema scolastico veramente inclusivo e non “al servizio” del ragazzo con disabilità, sostituendosi ai docenti di classe.

Referente nazionale per l’Istruzione della FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità).

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