Carriere separate per il sostegno? No, blindate!

«La continuità degli insegnanti di sostegno è importante – scrive Flavio Fogarolo, mettendo in discussione un recente Schema di Decreto Governativo sulla formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria – ma ancora di più lo è il coinvolgimento educativo, convinto e responsabile, di tutta la scuola. Ed è assurdo – anche nell’interesse degli stessi alunni con disabilità – pensare di risolvere il problema della scarsa continuità degli insegnanti di sostegno, bloccandoli forzatamente su un posto, limitando i trasferimenti o impedendo di fatto ogni carriera diversa»

Ragazzo in carrozzina studia al tavolo di una bibliotecaQualcuno ha espresso soddisfazione per lo scampato pericolo circa il temuto blocco delle carriere degli insegnanti di sostegno, che il recente Schema di Decreto Legislativo recante norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità (Atto del Governo n. 378) ha concretizzato “solo” nel prolungamento della permanenza sul sostegno, che passa da cinque a dieci anni. In realtà in questo campo le novità arrivano non tanto dal citato Schema di Decreto, quanto da quello sulla formazione iniziale degli insegnanti della scuola secondaria (Atto del Governo n. 377). Quando infatti il nuovo sistema sarà a regime, le carriere degli insegnanti di sostegno della secondaria saranno non solamente separate, ma del tutto blindate! Non solo sarà impossibile il passaggio di cattedra – perché i futuri insegnanti di sostegno non saranno più abilitati all’insegnamento disciplinare, ma solo specializzati per il sostegno -, ma sarà impossibile anche sostenere un altro concorso o prendere l’abilitazione in altro modo, perché i nuovi corsi abilitanti (chiamiamoli così, per adesso, per capirsi meglio) saranno tutti a tempo pieno e non si potrà frequentarli mentre si insegna. Ma procediamo con ordine, anche se molto sinteticamente.

Lo Schema di Decreto n. 377 prevede che si diventi insegnanti nella scuola secondaria – posto comune o sostegno – superando un concorso aperto ai laureati con un certo numero di crediti di pedagogia e didattica. Non è più richiesta l’abilitazione e neppure, per i posti di sostegno, la specializzazione: entrambe si acquisiscono successivamente. Chi vince il concorso sottoscrive un contratto di formazione triennale: il primo anno frequenta il corso di specializzazione a tempo pieno e non può fare altro, il secondo continua la formazione e può svolgere supplenze temporanee, il terzo sempre formazione più anche supplenze annuali. Chi vincerà il concorso su più discipline, oppure su posto comune e sostegno, dovrà scegliere fin da subito il percorso da seguire, senza più poter tornare indietro. «Le opzioni valgono come rinunce definitive alle altre opzioni esercitabili», dice infatti lo Schema di Decreto (articolo 7, comma 3): scegli una disciplina o il sostegno.
Al termine del primo anno, dunque, si consegue la specializzazione: si chiama specializzazione sia quella dei futuri insegnanti curricolari («specializzazione per l’insegnamento secondario», che corrisponde all’attuale abilitazione), sia quella degli insegnanti di sostegno («specializzazione in pedagogia e didattica speciale per le attività di sostegno didattico»). Da notare che nel programma dei corsi per gli insegnanti curricolari non c’è nessun accenno, neppure minimo, alle competenze dell’inclusione, inserite solo nei corsi per il sostegno. Alla faccia della condivisione educativa tanto sbandierata!
Dopo il primo, ci sono altri due anni di formazione in cui si possono anche avere, come accennato, degli incarichi di supplenza; alla fine del triennio l’insegnante viene formalmente assunto a tempo indeterminato.
Poiché, come abbiamo visto, la specializzazione all’insegnamento e quella per le attività di sostegno sono alternative, i futuri insegnanti di sostegno della secondaria non saranno abilitati (o meglio “specializzati”) a insegnare nessuna materia, per cui il passaggio su posti comuni previsto dopo dieci anni di sostegno dallo Schema di Decreto n. 378 sull’inclusione (articolo 12, comma 2) sarà di fatto impossibile e varrà solo per chi avrà un’abilitazione acquisita in precedenza.
Potranno prendere in altro modo l’abilitazione? No, perché i TFA [Tirocinio Formativo Attivo, N.d.R.] non si faranno più e questa è l’unica strada prevista. Potranno sostenere un altro concorso? In teoria sì, ma se vinceranno dovranno interrompere il lavoro perché il corso del primo anno sarà rigorosamente a tempo pieno.
Il passaggio su posto comune sarà ancora possibile per gli insegnanti della scuola primaria, perché loro l’abilitazione all’insegnamento l’hanno ottenuta con la laurea, ma se ad esempio avranno conseguito una seconda laurea e vorranno passare alla secondaria, si troveranno impossibilitati a farlo.

In realtà la possibilità di conseguire la specializzazione (sia di insegnamento che di sostegno) e contemporaneamente di insegnare è prevista, ma solo, udite udite, per gli insegnanti delle scuole paritarie, anche se non hanno superato il concorso: sono iscritti in sovrannumero e devono pagare il corso di tasca propria, ma possono farlo mentre insegnano (articolo 15, comma 1 e articolo 16, comma 1). In teoria potrebbero farlo anche gli altri, ma i docenti delle paritarie hanno appunto la precedenza.
Qual è la logica di tutto questo? E perché deve essere per forza a tempo pieno un corso di specializzazione di 60 CFU (Credito Formativi Universitari) che adesso quasi tutti frequentano, con fatica ma senza eccessivi problemi, mentre insegnano regolarmente?

Lo Schema di Decreto n. 377, per altro, ha indubbiamente anche aspetti positivi: formazione dopo il concorso e quindi destinata a chi veramente farà l’insegnante, retribuita, anche se poco, e con costi a carico dello Stato. Per il sostegno è positivo il potenziamento della formazione iniziale (di sicuro ce n’era bisogno), ma davvero eccessive le rigidità introdotte, penalizzanti verso i giovani interessati a questa professione.
La continuità degli insegnanti di sostegno è importante, ma ancora di più lo è il coinvolgimento educativo, convinto e responsabile, di tutta la scuola: se solo una persona si occupa degli alunni con disabilità, ogni cambiamento può essere un dramma, ma in questi casi il vero problema sta nell’organizzazione basata sulla delega esclusiva e marginalizzante (la disabilità “tocca a chi tocca”), non tanto nell’avvicendamento di persone, entro certi limiti inevitabile in qualsiasi servizio pubblico.
È assurdo, a mio parere, pensare di risolvere il problema della scarsa continuità degli insegnanti di sostegno, bloccandoli forzatamente su un posto, limitando i trasferimenti o impedendo di fatto ogni carriera diversa. Bisogna dare a questa professione la piena dignità che merita, mettendo le persone nelle condizioni di svolgere in modo adeguato il proprio lavoro, nell’interesse degli alunni affidati, delle loro famiglie e di tutta la scuola. Ma anche degli insegnanti stessi, perché è profondamente sbagliato porre in contrapposizione i loro legittimi interessi di professionisti e lavoratori con quelli dell’utenza, come se un bravo insegnante di sostegno non potesse ambire a fare dell’altro nella sua vita, attuale o futura.
Gli insegnanti di sostegno vanno formati e selezionati, e poi adeguatamente supportati, ma se dopo qualche anno qualcuno si accorge che questo mestiere non fa per lui, e ha sbagliato strada, è giusto lasciargli la possibilità di cambiare: nell’interesse degli alunni, non solo suo.
Bloccare gli insegnanti di sostegno con le ganasce, come le auto in divieto di sosta, è un’emerita cavolata!

Formatore. Componente del Gruppo Scuola della FISH Veneto (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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