Si parla sempre più di turismo accessibile: spiagge, locali, stabilimenti, ma il termine “accessibilità” è ormai talmente abusato da rischiare di perdere significato. Partiamo da un dato: cosa significhi accessibilità lo stabilisce innanzitutto la legge, grazie ai PEBA (Piani per l’Eliminazione delle Barriere Architettoniche) che i Comuni dovrebbero adottare (il condizionale in questo caso è d’obbligo) e che non prendono ovviamente in considerazione solo i litorali. In altre parole, considerare una spiaggia accessibile solo perché c’è una sedia Job [carrozzina da spiaggia per persone con disabilità motoria, N.d.R.] è un grave errore, sia perché si sta prendendo in considerazione solo la disabilità fisica, sia perché le barriere architettoniche e la fruibilità dei luoghi sono tanto altro (gli scivoli ci sono? Sono a norma? Gli stalli sono presenti? I locali intorno sono a loro volta accessibili? Ecc. ecc.).
Vincenzo Falabella, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), ha fatto recentemente notare, al giornale «Il Fatto Quotidiano», come il fatto che solo alcuni stabilimenti siano a norma rischia di creare un’ulteriore ghettizzazione, perché priva di fatto la persona con disabilità della possibilità di scelta su dove volere andare e ciò denota non solo scarsa sensibilità, ma anche una carenza della cultura d’impresa nel nostro Paese, essendo l’accessibilità non il semplice rispetto della normativa, ma il soddisfacimento dei bisogni dell’ospite come cliente e, quindi, un elemento di qualità.
Se l’accessibilità sembra ancora un traguardo lontano per chi ha una disabilità fisica, non parliamo poi di chi ha una disabilità sensoriale o di tipo intellettivo: infatti, nonostante la LIS [Lingua dei Segni Italiana, N.d.R.] sia ormai da considerarsi per legge una lingua a tutti gli effetti, è rarissimo che venga utilizzata nelle nostre città d’arte o nei nostri musei; il linguaggio semplificato (ad esempio l’Easy to Read, pensato cioè proprio per chi ha una disabilità cognitiva) è sconosciuto ai più al di fuori dei centri frequentati da chi ha una disabilità di questo tipo. E per le persone cieche, quanti menù o guide turistiche esistono in Braille?
Da dove partire, quindi, per costruire un’accessibilità reale ed effettiva? Innanzitutto dalle normative esistenti (anche se disattese); quindi proseguire con il coinvolgimento delle Associazioni che bene possono riportare i bisogni di chi rappresentano, lavorando ovviamente insieme a tutti i settori turistici (ricettivo, commercio, sport, eventi ecc.).