La disabilità e il trasporto pubblico locale

«All’interno della prossima Riforma del Trasporto Pubblico locale – scrive Giampaolo Lavezzo – nulla si prevede per la mobilità delle persone non deambulanti o a ridotta capacità motoria, persone con grave disabilità che non possono usare il mezzo pubblico, per l’impossibilità di raggiungere la fermata e/o per l’impossibilità di salire sui mezzi di trasporto, anche se svolgono un lavoro normale e una vita di relazione»

Uomo in carrozzina presso i binari di una stazione ferroviariaHo partecipato nei giorni scorsi a un convegno a Mestre sulla Riforma del trasporto pubblico locale, al quale erano presenti tre componenti la Commissione Trasporti della Camera dei Deputati. Sono intervenuto per ribadire che l’attuale Fondo Nazionale Trasporti e quello Regionale del Veneto nulla prevedono per la mobilità delle persone non deambulanti o a ridotta capacità motoria, persone con grave disabilità che non possono usare il mezzo pubblico, per l’impossibilità di raggiungere la fermata e/o per l’impossibilità di salire sui mezzi di trasporto, anche se svolgono un lavoro normale e una vita di relazione. Devono quindi ricorrere spesso al volontariato o a mezzi di fortuna, senza avere la garanzia di orari sicuri, e questa è una discriminazione, poiché la riforma in questione dovrebbe risolvere il problema è garantire a tutti il diritto di muoversi.
Nel caso di Venezia, ad esempio, il Comune garantisce da oltre trent’anni un servizio porta a porta con barche e automezzi attrezzati. I costi sono inevitabilmente alti e poiché sono servizi facoltativi, in qualsiasi momento potrebbero essere soppressi

Personalmente credo che la mobilità urbana e quella extraurbana interprovinciale siano i veri problemi irrisolti, specie in una Regione come quella in cui vivo, il Veneto, dove i capoluoghi sono abbastanza vicini tra loro, quasi a rappresentare una sorta di area metropolitana allargata. A fronte quindi di un sempre più necessario spostamento nell’ambito dei 30-40 chilometri, le persone con disabilità e quelle anziane incontrano problematiche sempre più complesse.
Per meglio comprendere: una persona non deambulante, per recarsi da Mestre a Padova, o da Padova a Vicenza, o da Treviso a Venezia ecc., deve organizzarsi il trasporto da casa alla stazione ferroviaria, dove deve arrivare con circa un’ora di anticipo per l’organizzazione dell’accompagnamento al treno. In meno di mezz’ora arriva alla stazione di destinazione, dove deve avere già organizzato un servizio di trasporto per recarsi al luogo dell’appuntamento, ammesso che esista in quella città tale servizio per i non residenti. In totale, per una breve tratta impiega non meno di due ore e mezza (e naturalmente stesso discorso per il ritorno). Con un mezzo autonomo impiegherebbe al massimo mezz’ora a tratta.
Appare quindi evidente che il treno è comodo e valido per i viaggi interregionali, mentre è assolutamente defatigante per le brevi tratte e ancor più per le persone che vivono in zone decentrate o in località periferiche, costrette a raggiungere comunque la stazione principale più vicina, non esistendo accompagnamento ai treni nelle piccole stazioni.

Dal canto loro, durante il convegno di cui dicevo, i componenti la Commissione Parlamentare che sta esaminando la riforma del trasporto pubblico locale, pur assicurando il loro interessamento, hanno affermato che nel testo in discussione non vi è alcun cenno ai problemi che ho espresso in quella sede…

Già consigliere nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).

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